testo di Ivan Masciovecchio.
“Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di chi sa fare il pane e riconosce il vento”. È tutto racchiuso qui, nelle parole di Franco Arminio, poeta, scrittore e paesologo campano, il senso della scelta che una manciata di anni fa ha portato un piccolo avamposto di sognatori a costituire nell’agro di Tortoreto (TE) l’associazione culturale e pedagogica I Colori del Sole e a dar vita all’azienda agrituristica Terra di Ea, un luogo dell’anima dove agricoltura sostenibile, biodinamica, cibo sano, cultura e convivialità si fondono in uno spazio comune. Un autentico e prezioso presidio sociale nato come progetto sperimentale per educare fin dall’infanzia i bambini alla conoscenza della terra grazie alla presenza di una scuola parentale steineriana all’interno della struttura, dove le lezioni vengono scandite dalle regole della natura piuttosto che dagli squilli della campanella, immersi tra animali al pascolo, piante di frutta e ulivi, filari di vite e campi di grano.
Come ha raccontato Walter D’Ambrosio, socio e promotore dell’iniziativa, nel corso di una partecipata serata conviviale ospitata nei giorni scorsi proprio negli spazi della struttura agrituristica ed incentrata sui sapori e sulle virtù della pratica biodinamica declinate nel piatto e nel bicchiere, chiamando a raccolta alcuni dei più interessanti chef abruzzesi per uno straordinario viaggio culinario all’interno del territorio regionale al quale, oltre alla chef padrona di casa Eleonora Camaioni, hanno dato il proprio contributo Enzo Barnabei dell’Osteria degli Ulivi di Montorio al Vomano, Valerio Di Mattia del ristorante Il Palmizio di Alba Adriatica, Franco Franciosi e il suo sous chef Francesco D’Alessandro dell’osteria Mammaròssa di Avezzano (AQ) – l’unica di fuori provincia – e Sabatino Lattanzi del ristorante Zunica 1880 di Civitella del Tronto.
Un menù di cinque portate realizzato come un unico atto creativo dalle brigate in cucina vicine spalla a spalla, richiamandosi non solo formalmente ma in maniera sostanziale a quel principio di unità sul quale si edifica l’agricoltura biodinamica, come ricordato da Sandro Sangiorgi – giornalista, scrittore ed enogastronomo, fondatore e curatore di Porthos racconta – che oltre a guidare gli abbinamenti delle singole portate con i vini «che vivono nella condivisione della tavola», ha introdotto il pubblico ai principali rudimenti della pratica steineriana, ricorrendo anche a letture stimolanti e rivelatrici.
In sintesi, ha esortato i presenti a guardare all’agricoltura «come ad un fatto umano decisamente aperto, infinito, un contenitore inesauribile da cui si può trarre tutto quello che serve. Per riuscire ad affrontare il problema dell’impoverimento della terra non si può prendere in considerazione un singolo granello, ma bisogna cominciare a concepirla (la terra) come un elemento all’interno di un sistema di elementi dove tutto è intimamente collegato. Ogni produttore di vino che si voglia considerare davvero biodinamico deve per forza di cose investire parte del proprio tempo nello studio dell’antroposofia perché solo così riesce a capire fino in fondo in quale sistema è inserita l’agricoltura. In questo modo non tenderà più a fare distinzione tra viticoltura e altre coltivazioni perché in effetti non esiste nessuna classificazione in quanto tutte partono da una sola, vera e propria madre che è la terra».
Presentato dagli stessi chef e realizzato con gran parte delle materie prime prodotte e coltivate in casa a Terra di Ea, il menù prevedeva una Stracciata di bufala di Paestum con alici salate dell’Adriatico, estratto di finocchio, erbe spontanee (gambi di sulla, rucola di campo) e pane al timo; Uovo di gallina cotto a bassa temperatura (64 gradi per 45 minuti) con crema di pecorino, fiori di zafferano, pepe e guanciale crudo; Minestra di frascarelli (impasto di acqua calda e semola, steso e tagliato prima a cordicelli e poi a gnocchetti, massaggiato in modo da creare una pasta disomogenea in grado di divertire il palato senza annoiarlo) con crema di cime di rapa e spirale di pecorino; Timballino con verdure spontanee e crema di broccoli; Agnello con papaveri cotti e crema alla mentuccia; Bocconotti e Crema cotta con riduzione di arancia e polvere al rosmarino.
Per la scelta dei vini, serviti inizialmente alla cieca per stimolare l’attenzione e non essere influenzati durante l’assaggio, sono state coinvolte l’azienda Feudo d’Ugni di San Valentino in Abruzzo Citeriore (PE), piccolo gioiello autarchico di Cristiana Galasso; la storica cantina Emidio Pepe di Torano Nuovo, ampiamente rappresentata grazie alla presenza di figlie (Sofia e Daniela), cognati e nipoti del decano della viticoltura abruzzese; De Fermo di Loreto Aprutino, altra piccola realtà della provincia pescarese insita in uno dei territori maggiormente vocati della viticoltura abruzzese. Suddivisi in abbinamenti proposti singolarmente e, in diverse occasioni, a coppia in modo da poter scegliere il bicchiere ritenuto più piacevole, alla fine della serata sono stati otto i vini degustati. A partire dal Trebbiano d’Abruzzo Emidio Pepe 2016, vinificato senza bucce, risultato pulito e dotato di una tenerezza di fondo. Si è proseguito poi con l’accoppiata di Pecorino De Fermo Don Carlino 2017 ed Emidio Pepe 2014, dove ad emergere nell’abbinamento con il cibo è stato il secondo, più ostico, ma che a poco a poco si è conquistato l’eredità di un piatto abbastanza complicato a causa della presenza dell’uovo, che ha un gusto imprendibile di per sé.
Durante la mescita, tra una portata e l’altra, Sandro Sangiorgi ha precisato quello che per lui, oggi, può essere definito vino naturale, vale a dire «un prodotto nel quale le persone che lo lavorano custodiscono la vita dalla vigna fino al calice, senza grandi interferenze, facendo attenzione affinché la sua integrità non venga sconvolta». Questo perché «i vini hanno a che fare con un’agricoltura naturale, viva, che è viticoltura ma anche enologia, perché se la biodinamica si ferma sulla porta della cantina, i produttori devono fare in modo di non impoverire il patrimonio e l’energia accumulati, impegnandosi affinché questo corredo di biodiversità rimanga il più intatto possibile».
L’assaggio è poi proseguito con i vini più viscerali, più impegnativi, più radicali, a loro modo, più brutali della serata: Trebbiano d’Abruzzo Feudo d’Ugni Lama Bianca 2017 e Montepulciano d’Abruzzo Feudo d’Ugni Fante 2015. Il primo, vinificato con le bucce, ha stregato tutti presentandosi al naso quasi come un distillato ma rivelando dopo pochi minuti la sua natura straordinariamente docile e partecipe. Il secondo, invece, ha accusato forse una lentezza estrema nell’aprirsi, che in generale non bisogna comunque forzare con roteazioni violente – Sangiorgi dixit – «perché il vino è materia viva che non bisogna aggredire. Ad ogni modo, un po’ di storia dell’Abruzzo enologico passa anche attraverso vini come questi».
Dopo un passaggio interlocutorio con un Cerasuolo d’Abruzzo De Fermo Le Cince 2017 che, al di là di una gradazione abbastanza generosa, non è risultato particolarmente complesso, forse penalizzato anche dalla potenza dei vini precedenti, la batteria di assaggi si è conclusa con un confronto tra due espressioni di Montepulciano d’Abruzzo vale a dire la leggerezza montana di Emidio Pepe 2014 e la carnosità marina di De Fermo Prologo 2015. In ultimo, fuori programma liquoroso a base di vino cotto orgogliosamente made in Terra di Ea, servito in abbinamento ai dolci. E con i versi della poetessa Mariangela Gualtieri a ricordarci che, come in ogni frutto che cade, anche e soprattutto in serate come queste, c’è solo vita, niente altro, solo vita.