È stato nell’antichità un importante centro commerciale, un incrocio di relazioni culturali e di riti religiosi comunitari
Per quindici secoli (dal IX a.C. al VI d.C.) nella “piana” che si forma nel punto in cui il Mavone confluisce nel Vomano, si è affermata la più importante civiltà fluviale della vallata, come testimoniano i cospicui reperti archeologici, ritrovati nelle campagne di scavo che si sono succedute nel tempo (1886, 1902, 1926-28, 1976-78). Per il periodo che va dalla prima età del ferro fino all’età orientalizzante (IX-VI sec. a. C.), nella vasta area sono stati identificati tre luoghi per la sepoltura: quello di S. Giovanni a Mavone (il cosiddetto podere Cerulli), quello di S. Rustico e quello di Brecciola. Complessivamente nelle tre necropoli sono state scavate decine di tombe i cui corredi hanno restituito copioso materiale in ferro e in bronzo (armi, anelli, armille, bacili, caldaie, fibule, lebete, ecc.).
Come osserva l’archeologo Vincenzo d’Ercole “I corredi funebri rivelano una spiccata predilezione per alcuni tipi di ornamenti in bronzo come le falere e soprattutto le fibule ad arco foliato e staffa a disco. Tuttavia l’elemento più appariscente è certamente la presenza di almeno due carri di legno rivestiti in ferro. Come è noto, tra i popoli abruzzesi solo gli uomini pretuzi usavano deporre il carro da guerra nelle loro sepolture. Ciò è testimoniato da cinque sepolture della necropoli di Campovalano di Campli e dalle due di Basciano”.
Della successiva età romana abbiamo il santuario di Ercole e il “vicus” di S. Rustico, scoperto dal Brizio nel 1896 e scavato da Gaetano Messineo nel 1976. Si tratta di un nucleo abitato compatto, un vero e proprio villaggio, che nasce in prossimità della confluenza tra il fiume Mavone e il Vomano, lungo la via “Cecilia”, una diramazione della via “Salaria”; in un luogo di sicura importanza commerciale, un incrocio di relazioni culturali e di riti religiosi comunitari.
Il “vicus” di S. Rustico sorge (nel I sec. a.C.) accanto ad un tempio già esistente, eretto come santuario isolato in tarda età repubblicana (fine II sec. a.C.): ad oggi rappresenta l’unico villaggio del teramano di cui rimane un’ampia testimonianza archeologica, che ne attesta l’esistenza fino al VI sec. d.C. Il nucleo abitato, detto “Petinus” nella passio (storia del martirio) di S. Emidio, è strutturato in forma ortogonale Nord-Sud, con edifici realizzati in ciottoli fluviali con pavimenti in signino. La caratteristica del “vicus” è quella di essere costruito diversamente dalle città romane, che hanno una struttura quadrata, con le strade che si incrociano al centro dove si trova la piazza più importante; in questo caso, invece, il luogo di culto si trova nella parte alta del villaggio, mentre ai lati sono disposte le abitazioni, in due file lunghe e continue, che dispongono di un doppio ingresso, dal centro e dall’esterno, con la possibilità di accedere al territorio circostante (struttura stretta e lunga, con uno spazio libero al centro).
“Il tempio, di forma rettangolare e di piccole dimensioni (mt. 15,68 x 8,29)” -scrive la prof.ssa Maria Josè Strazzulla – “si innalza su un podio in opera incerta, con cornici modanate in pietra ed è costituito da un’unica cella, preceduta da uno stretto pronao con quattro colonne, apparentemente privo di gradinata di acceso sulla fronte”. Un’epigrafe rinvenuta nello scavo ricorda la messa in opera di un altare da parte dei “magistri vici”, mentre un’altra epigrafe ci dà il nome della divinità titolare del tempio, Ercole. Il culto di questo nume è attestato con grande frequenza nel territorio pretuzio e in quello italico in generale: Ercole, dio della forza, nella leggenda si sposta continuamente e per questo diventa il protettore della pastorizia e dei pastori. A ragione si può dunque pensare che nel “vicus” di S. Rustico, importante crocevia e punto d’incontro tra le valli, i pastori avessero edificato un luogo di culto per la loro divinità.
Dell’edificio templare è ancora visibile, in loco, il podio con tracce della modanatura di base e frammenti della cornice superiore; rocchi di colonne, capitelli di tipo corinzio ed iscrizioni sono presenti nella vicina ex-masseria Ricci; mentre resti di decorazione architettonica in terracotta, antefisse e figure in rilievo (tra l’altro la dea Minerva e una figura maschile) sono esposti al Museo Archeologico di Teramo.
Nelle sale del Museo fa bella mostra di sè anche l’interessante materiale recuperato in una stipe, sotto il pavimento di un edificio; stipe probabilmente legata a riti di fondazione del “vicus”, agli inizi del I secolo a.C. Nella fattispecie si tratta di servizi di ceramica a vernice nera con sigle graffite M. Ant e C. Ant, quattro anfore con fondo aperto e piene di sabbia, alcuni vasi configurati, uno a forma di gallo, il secondo riproducente il noto tipo statuario della vecchia ubriaca e due arule, una raffigurante Dioniso a cavallo di una pantera, l’altra un’amazzone mentre uccide un greco.
Insomma ci troviamo di fronte ad un corredo pregiato e permeato di connotazioni dionisiache di due personaggi di elevato ceto sociale.