È uno di quei paesi che in una posizione privilegiata, posta sulle prime falde del Gran Sasso ed inserito all’interno della Valle Siciliana, nel vasto territorio racchiuso tra il fiume Mavone e l’alto Vomano ad esprimere tutta la sua naturale bellezza di questa vallata. Il borgo di origini medioevali con i suoi appena cinquecento abitanti conserva alcuni edifici e chiese con portali in pietra risalenti al XII secolo che si sono conservate intatte nel corso degli anni impreziosendo il centro storico. Fiore all’occhiello di questo borgo medioevale è l’abbazia di Santa Maria a Ronzano, tesoro sconosciuto del borgo
testo di Fabio Capolla
Potrebbe apparire come uno dei paesi meno importanti che si incontrano lungo il percorso che dal mare, da Roseto degli Abruzzi portano verso il Gran Sasso. Eppure recenti ricerche storiche fanno apparire Castel Castagna sotto un altro volto. Molto di ciò lo si deve alle ricerche dello storico Berardo Pio, docente di antichità medievali all’Università degli Studi di Bologna, recentemente esposte in un convegno organizzato dall’Associazione Culturale “L’Altura” e pubblicate dal periodico “La Voce del Vomano”.
Il Comune di Castel Castagna attraverso un Docup 2000-2006 ha avviato la realizzazione di un progetto per le strutture attrezzate per informazioni integrate sui beni culturali. Così Castel Castagna oltre alla naturale bellezza del paesaggio espone, come fiore all’occhiello, la Chiesa di Santa Maria di Ronzano, monastero che ha vissuto un’importante presenza benedettina. Castel Castagna è uno dei paesi inseriti all’interno della cosiddetta Valle Siciliana, un vasto territorio racchiuso tra il fiume Mavone e l’alto Vomano.
La Valle Siciliana comincia a definirsi territorialmente verso la metà del XII secolo ma completa il processo nel 1526, con la concessione del marchesato della Valle ad uno dei più valenti capitani dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, lo spagnolo Hernando de Alarcón.
Una storia che grazie alle ricerche del professor Pio può essere analizzata nel dettaglio. «All’interno di questa situazione storico-politica, nel contesto geografico definito Castel Castagna caratterizza il suo sviluppo storico – afferma il professor Pio -. Dopo la metà del secolo XII i fratelli Trasmondo e Berardo sono i signori del Castellum Castanee in qualità di feudatari di Oderisio di Pagliara. Essi furono i capostipiti di una famiglia che conobbe un momento di vero e proprio splendore nella prima metà del secolo XIII, favorita proprio dal legame vassallatico con i Pagliara: nel 1198 Berardus de Castanea fu presente ad una donazione dei conti di Manoppello Gentile e Manerio di Pagliara; due anni dopo lo stesso Berardo compare come magister et procurator di tutte le terre del potentissimo cancelliere del Regno Gualtieri di Pagliara, vescovo di Troia e fratello dei due conti di Manoppello. Molto probabilmente grazie alla protezione di Gualtieri di Pagliara, nel frattempo diventato arcivescovo di Catania, Berardo de Castanea – che secondo Norbert Kamp, profondo conoscitore dei personaggi della monarchia sveva, fu membro della famiglia dei feudatari di Castel Castagna – entrò nella cerchia dei fedeli di Federico II di Hohenstaufen e fu creato arcivescovo di Bari nel 1207 e di Palermo nel settembre 1213. Ascoltato consigliere e abile strumento della politica del sovrano svevo, l’arcivescovo Berardo si segnalò nell’amministrazione del Regno e nella gestione dei delicati rapporti diplomatici, soprattutto con l’Egitto e con il Papato. Si spense a Palermo l’8 settembre 1252».
Un passato ricco, con momenti storici caratterizzanti, che possono essere respirati passeggiando nella parte storica del vecchio borgo. Altri membri della famiglia dei signori di Castagna compaiono più volte nella documentazione come zelanti sostenitori della politica imperiale. Nel 1239 a Manerio di Castagna fu affidata la custodia del prigioniero milanese Lantelmo de Conte; l’anno successivo lo stesso Manerio fu incaricato di assoldare in Abruzzo 200 cavalieri da inviare ad Enzo, il figlio naturale dell’imperatore impegnato nella guerra contro i comuni lombardi; Gentile di Castagna fu responsabile degli allevamenti equini del sovrano, mentre Rinaldo compare come falconiere; un altro Berardo de Castanea, giustiziere di Terra di Bari nel biennio 1242-43, prese parte a fianco di re Manfredi alla battaglia di Benevento (1266) che determinò la fine del dominio svevo in Italia e l’avvento di Carlo I d’Angiò. Anche l’estremo tentativo svevo di recuperare il Regno, conclusosi nel 1268 con la decapitazione di Corradino di Hohenstaufen, vide protagonista un esponente della famiglia dei signori di Castagna: Mainardus de Castanea, infatti, rispose all’appello di Corradino e fu giustiziato dagli angioini dopo la battaglia di Tagliacozzo.
La scelta filosveva determinò la rovina della famiglia: Manucius de Castanea insieme con il fratello compare nell’elenco dei traditori ai quali furono confiscati i beni nel biennio 1269-70.
Nel giro di pochi anni Carlo d’Angiò modificò radicalmente la classe dirigente del Regno e con un minuzioso piano di inchieste tolse feudi e beni a quanti avevano aderito al partito di Corradino e portò a termine la sistematica eliminazione dei proditores dai ranghi feudali e la loro sostituzione con elementi di origine franco-provenzale, di sicura fedeltà: le terre di Castagna, Forca con Cerchiara e Roseto, tolte tutte a feudatari ribelli, nel 1270 furono concesse al francese Riccardo de Beauvoir, che aveva ottenuto anche il castrum di Montorio da Federico de Tullo, nipote della contessa Tommasa di Pagliara. Nell’aprile 1274 Riccardo era capitano nella comitiva di Fulco de Puy-Richard, vicario generale nella Marca Anconitana e, nell’agosto successivo, comandante dell’esercito regio impegnato nell’assedio dei ribelli rifugiati nella torre di Amatrice. Alla sua morte, nel 1276, i feudi di Montorio, Castagna, Forca, Cerchiara e Roseto passarono alla figlia Luisa de Beauvoir e da questa furono portati in dote, nel 1278, a Matteo de Plessy, altro grande barone di origine francese. Morta senza eredi Luisa de Beauvoir, i suoi feudi furono devoluti alla curia regia e, prima del 1292, concessi a Adam de Doussy, vescovo eletto di Cosenza nonché cancelliere del Regno di Sicilia, consigliere e famigliare del sovrano.
Questo piccolo complesso feudale venne ben presto smembrato: alcuni beni passarono a Jean II d’Eppe che nel 1329-30 era capitano generale contra latrones e compare come possessore di feudi sparsi in tutta la regione (Roseto, Forca e Cerchiara, Corropoli, San Giovanni Incarico, Pesco Solido, Monteverde, Rocca S. Antimo, Lacedonia etc.). Nel 1333 i castelli di Forca e Cerchiara furono venduti da Jean II d’Eppe a Tommasa de Sangro, madre e tutrice di Ugolino de Sully. In questo modo i due centri furono riuniti alle altre terre della Valle Siciliana e ne seguirono i destini fino all’abolizione della feudalità (1806). Montorio e Roseto, invece, verso la metà del Trecento furono concesse all’aquilano Lalle Camponeschi (la montagna di Roseto finirà successivamente nelle mani degli Acquaviva)».
Negli anni successivi Castel Castagna segue il destino degli Acquaviva di Atri: fu inglobato nel patrimonio feudale, che già da tempo possedevano il limitrofo feudo di Aviano, e compare nell’elenco dei feudi confiscati ad Andrea Matteo II d’Acquaviva e restituiti da re Alfonso I il Magnanimo a Giosia d’Acquaviva il 22 luglio 1446. Castagna rimase nelle mani degli Acquaviva nonostante le aspirazioni della città di Penne che solo per un breve periodo, tra il 1486 ed il 1489, riuscì a recuperare il controllo di Castiglione, Montefino, Appignano, Bisenti e Castel Castagna, sottratti all’irrequieto Andrea Matteo III d’Acquaviva. Scomparso il 21 gennaio 1755 il duca d’Atri, Rodolfo d’Acquaviva, tutti i feudi della famiglia passarono a sua sorella Isabella, maritata con Filippo Strozzi, che fu l’ultima duchessa di Atri e, conseguentemente, l’ultima baronessa di Castel Castagna: alla sua morte, avvenuta il 24 agosto 1760, l’immenso patrimonio feudale del ramo atriano degli Acquaviva fu definitivamente incamerato dalla curia regia.