Testo di Foto di Chiara Di Giovannantonio Foto di Alessandro De Ruvo
L’inverno con la sua magia di ghiaccio e gelo trasforma corsi
d’acqua e cascate, scroscianti e rumorosi d’estate, in lastre di vetro
scintillanti sotto i raggi di sole, immerse nel candore della neve che
tutto uniforma.
Sui Monti della Laga, nel cuore del Parco nazionale del Gran Sasso, quando le temperature scendono a picco in congiunzione con le giuste condizioni meteo, può capitare di trovarsi davanti un paesaggio fiabesco in cui tutto diventa immobile. La portata dell’acqua, che nella bella stagione si manifesta in n gioco di spruzzi e arcobaleni, viene imprigionata dal freddo, che annulla il suo fragore in una scultura di cristallo così originale da risultare inconcepibile anche per il più creativo degli artisti. Queste schiere di pinnacoli cristallizzati d’abbagliante lucentezza assumono un fascino unico, contraddistinte da differenti sfaccettature di blu e verde, da striature traslucide o semitrasparenti, da toni del bianco e del grigio, a volte madreperlato, che le rendono sempre diverse. Le cascate, dalle più alte e imponenti a quelle più piccole e pittoresche, si fermano trasformandosi in cattedrali di ghiaccio, straordinarie opere della natura che spingono appassionati e impavidi a sfidare il freddo impervio per ammirarle o, in altri casi, scalarle.
Nella metà degli anni ‘80, quando giunse per la prima volta voce dell’esistenza di cascate ghiacciate anche nel Centro e Sud Italia — notizia accolta con non poco stupore tra gli alpinisti del Nord — furono diversi i praticanti d’alpinismo, per lo più provenienti dall’Ascolano, che si prefissero di trovare, censire e, perché no, scalare queste formazioni invernali, diverse di anno in anno. Fu così che l’arrampicata sulle cascate di ghiaccio, o, come viene chiamata da alcuni, il cascatismo, giunse anche in Abruzzo. Una delle zone più spettacolari in quanto a cascate nel Teramano è per l’appunto quella dei Monti della Laga, e in particolare, tra Pizzo di Moscio e Cima Lepri, nella fascia compresa tra il Fosso delle Cannavine e quello della Morricana.
Qui, dove si trova uno dei salti d’acqua più conosciuti (1600 metri) ubicato nel comune di Rocca Santa Maria, sono almeno una quindicina le cascate grandi e piccole che si possono incontrare esplorando non solo il punto in cui i due corsi si tramutano nel Fosso di Valle Castellana, ma anche le diramazioni nelle modeste vallate laterali che possono nascondere inaspettati tesori naturali. Quando si parla di cascate ghiacciate, in preda al silenzio attonito che si prova quando ci si trova al loro cospetto, viene spontaneo ricorrere al concetto di “bellezza”, anche se nel XVIII secolo l’aggettivo prediletto da usare sarebbe stato sicuramente quello di “sublime”, tenendo a mente la notevole letteratura sull’argomento e il dibattito che imperversava all’epoca. Nel 1757 il filosofo inglese Edmund Burke pubblicò la Ricerca filosofica sull’origine delle idee del Sublime e del Bello, nel quale tentò di distinguere chiaramente tra queste due qualità estetiche. Il senso di Burke del Sublime era «una sorta di dilettoso orrore, una specie di tranquillità tinta di terrore; la quale, dal momento che dipende dall’istinto di conservazione, è una delle passioni più forti». Al contempo, Burke ne definiva il più alto grado, chiamandolo “stupore”. Nel caso di grandi cascate, la loro sorprendente grandezza suscita nell’osservatore un senso travolgente del Sublime, dove “bello” diviene facilmente una parola inadeguata per descriverle. Probabilmente è difficile immaginare come un torrente possa bloccarsi e congelare, ma succede anche nei salti più imponenti, per quanto raro. A temperatura di congelamento, le molecole d’acqua iniziano a rallentare e, alla fine, si legano insieme in modo permanente formando una struttura cristallina. In questo modo l’acqua, che durante la caduta tende a polverizzarsi, passa dallo stato liquido a quello solido.
Le goccioline, staccate l’una dall’altra, ghiacciano facilmente entrando in contatto con l’aria o la roccia fredda. Un altro motivo per cui gli scalatori sono tanto attratti da questi castelli di cristallo è il fatto che la loro superficie cambia di continuo. Con il passare dei giorni il sole di mezzogiorno, gli sbalzi di temperatura, le precipitazioni e i deflussi fanno scorrere sulla cascata nuove gocce d’acqua che si
congelano in forme ancora diverse. Se lo scalatore oggi scalfisce il ghiaccio con i suoi attrezzi, in una o più settimane la cicatrice verrà eliminata, sostituita da un bozzo o un crinale appena congelato. Il modo in cui si forma una cascata congelata può fornire indizi sulla procedura più sicura da seguire per arrampicarsi su di essa. Se è attaccata solidamente alla sua base ghiacciata e sembra essere legata a una parete di roccia, sarà più stabile fintanto che il ghiaccio rimarrà freddo e forte. Tuttavia, se la parete di ghiaccio è formata da acqua che scorreva su una sporgenza, potrebbe trattarsi di una colonna indipendente o appesa come una stalattite gigante. Le cascate di ghiaccio a sospensione sono le più pericolose da un punto di vista strutturale perché non sono ben solide, essendo una fusione di molti flussi d’acqua congelati di grandi dimensioni. Senza un supporto di base, questi salti congelati possono staccarsi e collassare in un batter d’occhio.
Arrampicarsi su una cascata di ghiaccio presuppone un’ascesa sempre verticale, che richiede una preparazione sia tecnica che fisica unita ad una buona dose di esperienza, oltre a strumenti appropriati — come piccozza e ramponi specifici per la disciplina, viti da ghiaccio, corda e altro ancora. Indispensabile anche tanta prudenza in aggiunta, eventualmente, alla presenza di una guida o di un istruttore poiché è bene ricordare che si tratta di uno sport estremo mentre il ghiaccio può essere molto fragile in qualsiasi stagione. Eppure, è tutto fuorché comune riuscire a godere di uno spettacolo come quello che, per via delle giuste condizioni atmosferiche, appena un anno fa, nel 2016, interessò tutta l’area dei Monti della Laga ricoprendo di neve e di ghiaccio boschi e cascate. I sentieri facilmente percorribili d’estate, che in poche ore dal piazzale del Ceppo (1334 metri) conducono agli Stazzi della Morricana e ai suoi salti d’acqua, camminando attraverso il bosco Martese tra faggi e abeti, in inverno richiedono un occhio esperto per riuscire ad avanzare nonostante la pesante coltre bianca che tende a nascondere il tracciato. Diventa così difficile e insidioso anche solo riuscire ad avvicinarsi a questi luoghi, cristallizzati dalla magia del ghiaccio, in un percorso che diventa di giorni se la neve è particolarmente alta. L’ambiente diviene surreale, quasi incantato; ogni suono ovattato e l’occhio sommerso dal candido manto che avvolge la foresta — forse anticamente dedicata al dio Marte o, come ipotizzato da altri studiosi, interessata un tempo dal passaggio della via consolare romana Metella. Gli escursionisti e gli appassionati di alpinismo, o anche i turisti che, debitamente accompagnati, sfideranno il freddo per raggiungere i luoghi nascosti tra il Fosso della Morricana e quello delle Cannavine, si ritroveranno avvolti dalla magia della neve, e, se saranno abbastanza fortunati, potranno anche trovarsi di fronte queste cattedrali di ghiaccio, da imprimere nella memoria o immortalare con uno scatto fotografico. I più arditi potranno tentare di scalarle, sfidando la natura e se stessi, alla scoperta di cascate note o salti d’acqua ancora non censiti.