A seguito del trasferimento della diocesi da Pescina ad Avezzano, fu qui eretta l’imponente cattedrale di San Bartolomeo, in cui il neoromanticismo dei primi del Novecento si esalta in forme sobrie e lineari.
Testo a cura di Leonello Farinacci, foto di Francesco Scipioni
Nella piana del Fucino, in quella che fu la zona lacustre bonificata per volere del Principe Torlonia a partire dal 1861, si erge Avezzano, città dalla storia quanto mai tormentata, distrutta prima dal terremoto del 13 gennaio 1915 e poi ulteriormente dai bombardamenti a tappeto durante la seconda guerra mondiale. Una città che è risorta per ben due volte per poi essere ricostruita per intero in pochi anni, sia esteriormente con nuovi edifici, ma anche nelle sua radici più profonde, divenendo una cittadina fiorente grazie ad uno sviluppo sociale, economico e culturale e a nuove strutture che si sono inserite in una realtà in continua espansione.
Proprio in seguito alla ricostruzione successiva al terremoto del 1915 la città diverrà sede vescovile quando, per volere di papa Pio XI, essa venne trasferita da Piscina ad Avezzano con la bolla Quo Aptius del 16 gennaio 1924.
Fu così che il primo pensiero del vescovo dei Marsi, Pio Marcello Bagnoli, dopo il trasferimento della diocesi, fu quello di costruire, oltre alla nuova sede vescovile nella zona centrale della città, anche una cattedrale tale da rappresentare degnamente il prestigio della curia, tra le più antiche della regione. Il combattivo presule avanzò ai suoi più stretti collaboratori ed ai progettisti dell’opera un’ardita proposta: fare in modo che si potesse “vedere”, attraverso una direttrice priva di ostacoli, la nuova chiesa madre dalla sede vescovile. L’area prescelta, però, si presentava asimmetrica rispetto al seminario. S’era in un periodo di ricostruzione della città di Avezzano, dopo la distruzione causata dal terremoto e la forzata sosta a causa della prima guerra mondiale. Il vescovo riuscì ad ottenere un congruo finanziamento dalla Stato, anche se l’ambizioso progetto di vedere dalla sede vescovile l’erigenda chiesa madre, mediante un forzato abbattimento di alcuni edifici venne immediatamente impugnato dai responsabili del locale Genio Civile, sia per l’enorme spesa legata alla demolizione di numerose abitazioni a due piani e la loro contemporanea edificazione in altra area, sia anche per ragioni prettamente tecniche, in quanto ne avrebbe sofferto l’assetto del piano regolatore generale della città appena redatto dall’ingegnere Sebastiano Bultrini. Il Genio Civile eccepì inoltre che le dimensioni del costruendo edificio sacro superavano di molto la metratura consentita per una città di appena 20 mila abitanti. Chiunque, a questo punto, avrebbe fatto marcia indietro, non l’inflessibile presule. Scelta l’area a ridosso di Piazza Risorgimento, nel cuore pulsante della nuova città, Mons. Bagnoli presentò un progetto firmato dallo stesso ingegnere Bultrini, in piena sintonia con le disposizioni ribadite dal Genio Civile, ma con la riserva mentale che, strada facendo, la cattedrale avrebbe assunto le dimensioni da lui volute. Iniziati i lavori di scavo, ben presto affiorarono le prime grosse difficoltà costituite dalla presenza sotterranea di una grossa vena d’acqua, che i tecnici individuarono come proveniente della falde del Velino. Gli imprevisti lavori supplementari fecero esaurire i primi fondi.
Intanto a Roma, caduta la democrazia, da qualche tempo s’era insediato il regime dittatoriale di Benito Mussolini. Corradini, decisivo punto di riferimento per Mon. Bagnoli nei primissimi anni del secolo scorso, moriva nel 1928 ed era sepolto in tutta solitudine al Verano di Roma. I lavori rimasero sospesi per anni, fin quando il vescovo ruppe gli indugi, rivolgendosi direttamente al capo del governo, in quel tempo in visita ad un campo di addestramento dei giovani fascisti non lontano da Avezzano. L’incontro, avvenuto ad Avezzano tra Mussolini e il presule, sortì effetti positivi. Era il 1938. In meno che si dica furono reperiti i fondi, moltiplicate le maestranze, messe in azione diverse ditte appaltatrici e, già che ci si trovava, il vescovo cacciò dal cassetto il vecchio progetto a suo tempo bocciato dal Genio civile e, come per incanto, la cattedrale si allargò e salì d’altezza giorno dopo giorno, fino ad assumere la fisionomia che oggi tutti ammiriamo. Nel 1942, presenti le autorità, capo del governo in testa, clero e fedeli festanti, venne solennemente consacrata. Scalfita dai bombardamenti aerei del 1943 e ripristinata nell’immediato secondo dopo guerra, la cattedrale dei Marsi ora giganteggia davanti a Piazza Risorgimento con tutta la sua imponente mole. La struttura, tutta in travertino bianco, rimanda ad uno stile neoromantico lineare e leggero del primo Novecento, in cui si esaltano la levigatezza del materiale e la sobrietà della forma. La facciata è un esemplare modello stilizzato di un’essenzialità estrema. Tre portali, di cui quello centrale più grande, immettono in altrettante navate verticali e disadorne, entro le quali dalle vetrate e dai rosoni, sistemati sotto tetto e lungo l’ampia cupola esagonale, in reciprocità speculari, piovono fasci trasversali di luce. Di non comune valore l’impianto d’organo a canne, sito dietro l’imponente altare maggiore ed il sontuoso coro in legno pregiato. La cattedrale, affiancata da una svettante torre campanaria e dimensionata da una piazza lastricata ad arte tra via Corradini, via Marconi e via Cataldi, con una fontana che ricama suggestivi getti d’acqua, è stata intitolata a San Bartolomeo protettore di Avezzano, che, fino al terremoto del 1915, fu venerato nella Collegiata che si affacciava sulla omonima piazza, tra via Vezzia e via Marcantonio Colonna.