Testo a cura di Luana Cicchella, Foto di Gino Di Paolo
L’ambone della chiesa di S. Stefano a Cugnoli è una delle più preziose opere d’arte sacra presenti nel nostro territorio. Qui, come in una visione incantata tra decorazioni enigmatiche e simboliche, si rivela il genio del Maestro Nicodemo
Nel vasto patrimonio storico-artistico dell’Abruzzo medievale emergono gli arredi sacri realizzati dalla “scuola rogeriana”, una produzione alla quale appartiene anche l’ambone di S. Stefano. L’opera è ubicata nella parrocchiale di Cugnoli, piccolo centro sopra un’altura dell’area vestina, nel cui centro storico si possono ancora ammirare splendidi edifici del quattrocento e del Cinquecento. Le notizie più antiche sul borgo di Cugnoli risalgono all’epoca romana dato che il territorio ospitò un insediamento di cui sopravvivono tracce nelle località di Andragona e S. Pietro, mentre la prima fonte documentaria in cui viene citato il borgo è del 1173, quando da feudo dei De Apruzio passò nelle mani delle 36 famiglie locali più influenti nella zona. Si susseguirono poi i feudi degli Acquaviva, dei Valignani , dei Caracciolo di Castel di Sangro e dei Leognani – Ferramosca, mentre il paese diventava sempre più un importante punto d’incontro tra arte e cultura. E fra le cose di più notevole valore si annovera sicuramente il pulpito della chiesa di Santo Stefano, meraviglia dell’arte medievale risalente al 1166 e qui trasportato intorno al 1528 da una Chiesa di un Monastero, sito probabilmente nella contrada di San Pietro ed ora distrutto.
Entrando in chiesa la prima cosa che colpisce è proprio questo ambone che, addossato alla parete destra, domina col suo ornato medievale lo spazio barocco dell’edificio. Il bellissimo mobile liturgico in pietra e stucco venne probabilmente trasferito in questa sede dopo essere stato rimosso da un antico monastero cistercense, di cui abbiamo l’indicazione cartografica nella Carta archeologica della provincia di Pescara (a cura di A. Staffa 2004, p.130).
L’opera, detta ambone o pulpito a seconda delle dimensioni e del numero di rampe d’accesso, era parte essenziale dello spazio sacro nelle chiese romaniche, in cui la sistemazione dell’arredo seguiva un rigoroso programma. La struttura si compone di una tribuna sopraelevata con uno o più leggii sui quali venivano posti grandi volumi e rotoli miniati, letti o cantati nel corso delle varie celebrazioni.
L’ambone di Cugnoli è l’ultimo in ordine cronologico di una preziosa serie di opere d’arte sacra, frutto della creatività e perizia degli artefices della bottega di Rogerio o Ruggero, magister lapidum di una officina attiva in Abruzzo durante la metà del XII secolo. In particolare quest’arredo è attribuito a Nicodemo, forse il figlio più giovane di Rogiero, oppure semplicemente un artifex della sua bottega.
Una serie di iscrizioni presenti sulle opere realizzate in questo ambito, testimonierebbero Nicodemo attivo tra il 1150 ed il 1166. Un’epigrafe nella scala dell’ambone di Santa Maria in Valle Porclaneta (vedi “Tesori d’Abruzzo”, luglio-settembre 2011, n.21, pp. 32-37) rivela la sua prima attività al fianco di Roberto, altro membro della scuola rogeriana. In un’iscrizione incisa su un pannello in stucco del 1151, resto di un’opera perduta della chiesa di San Cristinziano a San Martino sulla Marruccina, Nicodemo si firma come magister, quindi all’epoca egli stesso capo di una bottega. Da solo firma l’ambone di Santa Maria del Lago a Moscufo, realizzato nel 1159 su commissione di un certo RAINALDUS PRELATUS. Anche se nell’iscrizione del pulpito di Cugnoli il nome di Nicodemo non compare, l’opera gli è stata attribuita senza alcun dubbio, ivi sono invece la data di realizzazione (1166) ed il committente che, omonimo dell’altro, non ha carica di prelato bensì di ABBAS (abate). Le informazioni contenute in queste iscrizioni sono per gli studiosi tracce importantissime, preziosi indizi dai quali ricostruire la carriera dell’artista e l’evoluzione della sua produzione.
Le opere create nella “scuola rogeriana”, così come questo meraviglioso ambone in pietra e stucco, possiedono una cifra stilistica unica ed un gusto originale, come rivelano l’ornato e la rappresentazione figurata fino al più piccolo dei particolari. Ogni spazio è valorizzato da elementi ornamentali scolpiti con cura e ben definiti. Tra le immagini vi sono i Simboli degli Evangelisti, narrazioni e personaggi sacri del Nuovo e Vecchio Testamento, continui rimandi alla lotta tra il bene ed il male, ammonizioni contro il peccato e riferimenti alla lettura e contemplazione del Verbo per la Salvezza.
Gli spazi di risulta ai lati delle arcate, sopra cui è impostata la tribuna, sono animati da un’intricata trama di racemi in cui sono intrappolate figure di uomini ed animali. Immagini che hanno strettissimi rapporti con quelle scolpite nell’ambone di Moscufo, pur non ripetendone la disposizione ed i temi in modo seriale. Se provassimo a chiederci da dove giungesse quel repertorio iconografico, quali fossero i modelli di riferimento di quelle immagini, di quelle sacre visioni dell’invisibile, inevitabilmente ci troveremmo ad indagare tra sculture, decorazioni architettoniche, pitture ma soprattutto miniature realizzate per chiese e monasteri del XII secolo. Le decorazioni dell’ambone infatti mostrano diverse analogie stilistiche e formali con miniature di quel periodo. Se immaginassimo di sciogliere l’intricata trama entro i pennacchi delle arcate, potremmo ad esempio ottenere dei nastri vegetali con figure, simili a quelli che si dispiegano lungo i bordi dei codici miniati medievali. Le figure in stucco sono quindi vicine a certe miniature cistercensi, in special modo a quelle di due capolavori quali la Bibbia di Stefano ed i Moralia in Job, del principio del XII secolo.
Avevamo già detto all’inizio che alcuni storici riferiscono l’arredo appartenuto in origine proprio ad un monastero dell’ordine cistercense. Secondo altri quest’ipotesi, che non è documentata con certezza, andrebbe invece scartata perché non risulta plausibile la presenza di un arredo con quel ricco e fantasioso repertorio in un edificio cistercense (F. Gandolfo, Scultura medievale in Abruzzo, 2004, p.84). Troppo ornamento per un luogo sacro di quell’ordine, troppe quelle figurazioni “bizzarre e ridicole” esplicitamente vietate nei capitoli e definitivamente condannate nella “Apologia ad Guillelmum Abbatem”, scritta dal riformatore dell’ordine Bernardo di Chiaravalle nel 1125.
Ci restano pertanto i dubbi su quali potrebbero essere stati i modelli di riferimento per le sacre visioni plasticate nel gypsum (stucco/gesso) dalla scuola rogeriana e da Nicodemo. Ora, se l’attività degli artefices di quella scuola si svolse soprattutto in ambito monastico e se più in generale la realizzazione di codici miniati poteva svolgersi in monasteri di ogni ordine e grado, è certo possibile supporre che i disegni preparatori usati per gli stampi lignei in cui era colato lo stucco, poi rifinito con stecche e scalpelli, fossero gli stessi che miniatori, di abbazie cistercensi o di altro ordine, copiavano per illuminare i loro codici.
Tralasciando le discussioni sul luogo d’origine e sui possibili modelli, quello che più conta è che l’incanto della sue decorazioni, l’enigmatica apparenza delle forme e dei simboli, tutto il fascino celato dietro l’alone di mistero che avvolge le figure di grandi artifex come il nostro Magister Nicodemus, nessuno può raccontarcele meglio che l’opera stessa, che vi invitiamo pertanto ad andare a contemplare ed ammirare nel suo attuale spazio sacro.