Testo Laura de Benedictis Foto Luca Del Monaco
Sulla strada per Sulmona, in località Badia, a poca distanza dall’Abbazia di Santo Spirito e dall’Eremo di Celestino V, trovano spazio i meravigliosi ed imponenti resti del Santuario dell’Ercole Curino. Uno scenario suggestivo dove ritualità pagana e cristiana quasi si incontrano e si fondono.
Come se la bellezza e la spiritualità dei luoghi potesse e dovesse far da sfondo alla pace dell’animo, giungiamo sotto l’eremo di Celestino V e, rimanendo quasi incantati, ci soffermiamo ad ammirare uno scenario che dà l’impressione di sentirsi quasi vicini agli Dei immaginandosi quello che un tempo doveva essere questo luogo dedicato al famoso eroe delle “dodici fatiche”. In Abruzzo tanti sono gli angoli le cui radici affondano in un tempo mitico quando agli uomini capitava di incontrare il divino, al tempo di eroi destinati all’immortalità le cui gesta e le cui voci ancora risuonano tra le pietre e le colonne che riaffiorano dalla terra, tra le montagne che si ergono quasi a protezione di questo spazio consacrato. Allora, avvicinandoci lentamente a questo luogo, come a non voler disturbare i secoli che ci stanno a guardare, si può avere come la sensazione di passeggiare tra i viali della Storia, tra l’antica Roma e la Grecia di Omero, restando in contemplazione di ciò che rimane di una civiltà remota che è giunta fino a noi, di un passato grandioso che ci ha lasciato i suoi segni immutabili. Proviamo quindi ad immaginare come un tempo potevano apparire agli occhi di un devoto, di un offerente, di chi giungeva fin qui per conoscere il proprio destino o per chiedere soccorso alla divinità, queste maestose e straordinarie rovine.
IL SITO
I resti del Santuario dell’Hercules Curinus risalgono al I secolo a.C., quando il complesso fu costruito andando ad ampliare un tempio preesistente e già frequentato almeno dal IV secolo a.C. Prendendo come base per il sito due enormi terrazzi artificiali, si edificò quello che dovette essere uno dei luoghi sacri più importanti del territorio e che ad oggi rimane tra i più affascinati e imperdibili grazie a quell’aura di sacralità e bellezza immortale che tuttora lo pervade. Il santuario doveva sorgere su un’arteria viaria di primaria importanza, lungo la strada che collegava i due tratturi di Celano – Foggia e L’Aquila – Foggia attraverso il passaggio che conduceva dall’Abruzzo alla Puglia nel periodo della transumanza. Una strada piena di centri cultuali che nel tempo accolse di certo un cospicuo numero di persone che qui facevano sosta durante il loro lungo cammino. Come era uso nella scelta di un luogo idoneo ad accogliere la dimora di una divinità, anche nel caso del Santuario sulmonese, esso fu edificato su delle sorgenti situate alle pendici del monte Morrone. Una contingenza di fattori dunque fece sì che qui si sarebbe venuto a formare uno dei luoghi di culto più importanti dell’Italia centrale.. I resti così ci rivelano una struttura imponente che non può far altro che confermare l’importanza di questo luogo per le popolazioni antiche. Scorgiamo dapprima la terrazza inferiore, sorretta da un muro di sostegno in opera cementizia e coperta da opera incerta e reticolata, al di sopra della quale erano ricavati 14 ambienti coperti, con una volta a botte che fungeva da sostegno per la parte anteriore della terrazza. Due stanze laterali avevano rampe di accesso che conducevano al piano superiore dove si giunge in un’altra terrazza, centro nevralgico del santuario, nella quale era ubicato l’altare, rivestito in bronzo con il nome del dedicante, ghirlande e cornucopie. Era in questo spazio che si poteva venerare la divinità cui era dedicato il tempo, in questo caso l’Ercole Curino, il cui epiteto doveva probabilmente essere legato alle curie, le antiche assemblee di uomini o alla divinità laziale Quirinus, con la quale si pensa che dovette fondersi il culto greco di Eracle. Qui poi era anche collocato il sacello, una piccola stanza realizzata in mattoni crudi, oggi ottimamente conservata, con le pareti affrescate a motivi geometrici colorati, sull’esempio di Pompei, e con un pavimento impreziosito da un pregevole mosaico con una decorazione tipicamente ellenistica, nella quale fronde, delfini ed onde si palesano in tutta la loro bellezza, mentre sulla soglia si è accolti da un fascio di fulmini, simbolo di Giove, padre di Ercole. All’interno di questo spazio fu rinvenuta la statuetta marmorea dell’Ercole cubans, forse opera dello scultore e bronzista Lucius Eros Albius, da come si può dedurre dalla dedica incisa sul pilastrino di base, ed una colonna con epigrafi che testimoniano la vitalità cultuale del luogo. Ma di certo il pezzo più importante qui rinvenuto è una statuetta in bronzo di considerevole bellezza e fattura risalente al III secolo a.C., replica dell’Ercole farnese e recentemente riconosciuta quale copia d’autore dello scultore greco Lisippo. Il bronzo mostra l’eroe raffigurato in un momento di riposo, appoggiato sulla clava su cui è adagiata la pelle di leone e, come si legge nell’iscrizione posta sul piedistallo, fu donata al santuario da un certo Atto Peticio Marzo, ricco armatore e mercante. Oggi l’opera è conservata a Villa Frigerj, presso il Museo Archeologico Nazionale di Chieti ed è una delle testimonianze che più rappresentano l’importanza del culto dedicato ad Ercole nel territorio abruzzese. La vita del santuario cessa nel II secolo d.C. Quando, probabilmente a causa di una frana, il luogo fu completamente abbandonato, si pose fine ad ogni attività ad esso legata ed il tempo coprì ciò che la storia e la grandezza di Roma avevano sapientemente saputo costruire. Fu il tempo stesso però a conservare e restituire questa straordinaria testimonianza del passato, quando a partire dal medioevo cominciarono a riemergere dalle sabbie della memoria i resti del Santuario. Allora si pensò, seguendo una leggenda popolare, che quelle rovine potessero appartenere ad una villa del poeta Ovidio che qui, sempre secondo le antiche credenze, avrebbe avuto una sorta di laboratorio magico dove distillava filtri d’amore. Proprio seguendo tali opinioni partirono i primi scavi scientifici nel 1957, alla ricerca di una villa romana che con il tempo si scoprì invece essere un complesso monumentale sacro di inestimabile valore.
IL CULTO DI ERCOLE IN ABRUZZO
Ercole fu di certo una delle divinità più venerate nell’Italia centro – meridionale ed il suo culto fu di fondamentale importanza sopratutto tra la popolazione dei Peligni, tanto che tutto l’Abruzzo si mostra ricchissimo di testimonianze in tal senso: dal Santuario alle pendici del monte Morrone, alla copiosa presenza di statuine votive rinvenute nel territorio, fino all’enorme quantità di epigrafi che attestano la presenza di spazi cultuali a lui dedicati. Tutti segni questi di una popolarità davvero straordinaria che fece di Ercole la divinità prediletta dal mondo pastorale, protettore della campagna, di sorgenti e fiumi, nonché propiziatore di ricchi raccolti, tanto che nella sola Valle Peligna, oltre al famoso santuario sulmonese, sono ben otto gli spazi sacri innalzati in onore del semidio. Così l’eroe greco Eracle, figlio di Zeus ed Alcmena, a Roma assunse le sembianze ed il ruolo dell’italico Ercole. Erano almeno tre i culti dedicati nel mondo romano alla figura dell’eroe e la venerazione nei confronti dell’ Hercules Curinus (o Quirinus) era una devozione legata al mondo della transumanza e della pastorizia, divenuta poi culto nazionale dei Peligni (così come per definizione di G. Devoto). L’epiteto “Curinus” come già specificato, dovrebbe infatti riferirsi ad una divinità laziale (Quirino per l’appunto) con caratteristiche molto simili a quelle del nostro Ercole, tanto che le due divinità si sarebbero in qualche modo fuse in una sola. Quirino inoltre (che nell’olimpo romano viene talvolta accostato a Romolo) sarebbe il protettore delle curiae, ovvero le assemblee degli uomini nell’antichità, motivo per cui con Curinus si starebbe ad indicare l’unione dei vari insediamenti nella Valle Peligna sotto l’egida del municipium dell’antica Sulmo. Il culto dell’eroe, come testimoniato dalle attestazione epigrafiche rinvenute sul posto, veniva molto probabilmente festeggiato nel santuario di Sulmona nel mese di agosto in concomitanza con i festeggiamenti che avvenivano a Roma in onore dell’Ercole Vincitore. La devozione nei confronti di Ercole ebbe quindi un’importanza elevata per i popoli italici e con molta certezza non si esaurì con la fine del paganesimo e l’avvento del cristianesimo ma, come accadde spesso per un processo di assimilazione tipico della religione cristiana primitiva, la figura dell’Eroe invincibile venne fatta accostare a quella di San Michele Arcangelo, il messaggero guerriero di Dio che combatteva contro il demonio, così come Ercole contro le mostruose figure del mito antico. Un’analogia che fece sì che, sopratutto in territori come quello abruzzese e pugliese legati a doppio filo con la transumanza, il mito ed il culto di Ercole non scomparissero del tutto. E ancora oggi si può avvertire in questi luoghi una sensazione di pace, forse non sarà la presenza di un dio bensì l’imponenza della Storia e la sacralità della bellezza ma come un’eco lontano talvolta si può sentire una cantilena, quasi una preghiera che sembra ripetere:“fai voto ad Ercole Curino Vincitore, se vuoi che ogni cosa vada secondo il (tuo) desiderio.