testo di Ivan Masciovecchio.
Un piacevole e naturale ritorno all’età della pietra, puri e senza peccato, verso una sorta di condizione ancestrale valida come biglietto di riammissione nel Paradiso terrestre dopo esserne stati ingiustamente allontanati. Questo il corto circuito emotivo-sensoriale prodotto dall’assaggio dei vini realizzati da vitigni autoctoni come Pecorino, Montepulciano e Trebbiano d’Abruzzo, vinificati in vasche di pietra di Pietranico dall’azienda agricola biologica Chiusa Grande di Nocciano, in provincia di Pescara, secondo l’ispirato pensiero del giornalista enogastronomico Antonio Paolini, intervenuto nei giorni scorsi alla presentazione della seconda fase del progetto VI.NA – Vini naturali.
Finanziato nell’ambito del Programma di sviluppo rurale 2007-2013, lo studio è stato ideato e realizzato in collaborazione con il Centro di ricerca viticola ed enologica d’Abruzzo (C.R.I.V.E.A) e l’Università di Teramo, sotto la guida degli enologi Franco Giandomenico e Beniamino di Domenica. Oltre alle particolarità delle micro e macro vinificazioni in pietra – sicuramente la sfida più ambiziosa ed affascinante – si propone anche di analizzare gli aspetti sensoriali e tecnici dei vini senza solfiti aggiunti, così come la produzione di vini spumanti biologici metodo classico. Dopo il primo appuntamento del dicembre scorso, il terzo e conclusivo incontro previsto entro la prossima estate prevederà un convegno scientifico-divulgativo dove verranno condivisi i dati statistici emersi durante la lunga ricerca.
«Avevo un’enormità di dubbi rispetto a questo progetto – ha confessato Paolini – a cominciare dall’approccio emozionale e multisensoriale di Franco D’Eusanio, che non è semplice né ordinario. Alla vinosophia ci si avvicina con molta cautela perché i concetti legati alle emozioni sono inevitabilmente relativi; qui però siamo di fronte a quella relatività che tiene in piedi il mondo, come nella connessione tra pianeti; i suoi vini sono motori, hanno dentro una forza di pensiero che li rende interessanti. L’aspetto che più mi ha convinto – ha continuato – oltre alla genuinità del lavoro svolto finora, iscritto all’interno di un quadro di certificazioni tangibili e trasparenti, è stato soprattutto vedere le vasche, davvero un’emozione autentica, perché quei manufatti parlano di noi al resto del mondo; di noi che siamo la montagna di pietra a venti minuti dal mare. Valorizzare quindi questa pietra è un bellissimo recupero dell’anima di tutto l’Abruzzo, che merita di essere raccontato».
Pratica ancestrale ormai quasi del tutto scomparsa ma dall’inestimabile valore agro-antropologico, la vinificazione in pietra era piuttosto diffusa nel territorio pescarese compreso nel comune di Pietranico, dove si registra la più alta concentrazione in regione di questi palmenti scavati nella roccia. Da qui l’idea da parte dell’azienda Chiusa Grande di recuperarne la pratica attraverso l’utilizzo di un’ampia vasca da circa 20-25 ettolitri e due più piccole di capienza compresa tra 7 e 10 ettolitri; grandezze in grado di incidere in maniera differente sul risultato finale, conferendo al mosto una complessità olfattiva e gustativa legata alla cessione di microelementi come rame, ferro, sodio, potassio, calcio, silicio.
Quanto ai vini degustati (secondo un ordine non canonico, «ma noi pensiamo che il vino canti la sua canzone che dobbiamo solo accompagnare, senza pretendere di fare i direttori d’orchestra», ha chiosato Paolini), lo stesso giornalista ha tenuto a ricordare che questi sono solo progetti di vino, non ancora compiuti quindi, per di più frutto di una vendemmia non particolarmente semplice come quella del 2014. All’assaggio ed in abbinamento ad un menu di terra e di mare realizzato a quattro mani dagli chef stellati Matteo Iannaccone del Café Les Paillotes di Pescara e Marcello Spadone de La Bandiera di Civitella Casanova, sono stati proposti un Trebbiano d’Abruzzo vinificato senza bucce in vasca media, un blend di Pecorino con lievissima correzione di Trebbiano vinificato con le bucce in vasca piccola, due Montepulciano d’Abruzzo vinificati nella stessa vasca grande ma con uve provenienti da vigneti diversi (quello più pianeggiante di Cugnoli e quello invece più montagnoso di Civitaquana), oltre ad alcuni spumanti brut metodo classico della linea D’Eus – tributo all’imperitura piacevolezza ed inno al lento trascorrere del tempo, concepito come omaggio a d’Annunzio nel 150° anniversario della nascita con tanto di citazione in retro etichetta – e ad un rosso senza solfiti aggiunti della linea Natura.
Prima della terza e conclusiva fase, il progetto VI.NA – Vini naturali farà tappa anche al prossimo Vinitaly di Verona, scenario privilegiato e ribalta internazionale per una storia antica eppure modernissima che dall’Abruzzo, like a rolling stone, si appresta ad essere raccontata al resto del mondo.