testo e foto di Ivan Masciovecchio.
600mila bottiglie stappate in appena quattro giorni a fronte di un consumo di vino procapite annuo mai così basso in Italia; circa 150mila visitatori, più o meno gli stessi rispetto al 2014; oltre 4mila espositori disposti su una superficie di ben 100mila metri quadrati; buyer provenienti da 140 Paesi del mondo (l’anno scorso erano 120); un numero imprecisato di ministri, sottosegretari, deputati, senatori, ex qualcosa, assessori, sindaci, nani e ballerine. Nonostante la quasi concomitanza con il ProWein di Düsseldorf – conclusosi soltanto cinque giorni prima – anche l’edizione numero 49 del Vinitaly va in archivio con i consueti toni soddisfatti di organizzatori ed addetti ai lavori, giudicata a seconda delle circostanze effervescente, fondamentale, assolutamente interessante, davvero spettacolare, perfetta.
Un bilancio più che positivo, dunque, condiviso pure dall’assessore alle Politiche Agricole della Regione Abruzzo Dino Pepe per il quale la fiera veronese è stata speciale, con risultati brillanti per la grande comunità enoica abruzzese, rappresentata da circa 80 aziende vitivinicole – erano 17 invece quelle olivicole all’interno del contemporaneo Sol&Agrifood, il salone internazionale dell’olio vergine ed extravergine d’oliva e dell’agroalimentare di qualità –, la metà delle quali presenti in forma associativa grazie all’impegno dei principali consorzi di tutela, dai Vini d’Abruzzo alle Colline Teramane, nonché dell’associazione di produttori Vignaioli in Abruzzo.
Completava la spedizione abruzzese il consueto spazio dell’Enoteca regionale gestito con professionalità dall’AIS Abruzzo, dove c’erano a disposizione poco meno di 400 etichette di circa 130 aziende regionali; e l’area degustazione denominata Abruzzo Street Food allestita in uno stand esterno al padiglione in cui, dopo una totale disorganizzazione iniziale, grazie ad alcuni semplici accorgimenti, nei giorni successivi si è opportunamente provveduto a raddrizzare il tiro facendo registrare un netto miglioramento del servizio.
Nel complesso, anche questo Vinitaly è scivolato via senza troppi sussulti e qualche grida. Se le Marche e la Sicilia potevano contare su testimonial d’eccezione come Neri Marcorè e Maria Grazia Cucinotta, noi abruzzesi ancora una volta ci siamo dovuti accontentare del disonorevole Razzi, il più ricercato per selfie ed autografi vari. Nonostante la contrarietà di qualche associato, non hanno resistito alla tentazione di una foto ricordo con lui neanche i Vignaioli in Abruzzo, per l’occasione in compagnia della chef Nadia Moscardi, non sappiamo se per effettiva ammirazione o semplicemente per sfruttarne l’onda mediatica, purché se ne parli. Chissà, magari ci sbagliamo, ma ci è sembrato un clamoroso autogol.
Per quanto riguarda gli appuntamenti organizzati all’interno della sala degustazione della Regione Abruzzo – resa di fatto invisibile grazie allo stesso infelice posizionamento dell’anno scorso – la verticale di sette annate del Trebbiano d’Abruzzo dell’azienda Pepe di Torano Nuovo, in provincia di Teramo, e l’incontro con il direttore delle guide dell’Espresso Enzo Vizzari nell’ambito della presentazione della terza edizione del premio giornalistico Words of Wine, hanno rappresentato l’alfa e l’omega di un palinsesto per il resto non particolarmente allettante.
Arricchito dalla magnetica presenza del patriarca ‘Ustì, di sua figlia Sofia e della nipote Chiara, e condotto dal giornalista Sandro Sangiorgi – autore tra l’altro del libro Manteniamoci giovani. Vita e vino di Emidio Pepe (ed. Porthos), realizzato l’anno scorso in occasione della cinquantesima vendemmia della storica cantina teramana – l’incontro ha permesso ad una selezionata ed internazionale platea di appassionati ed addetti ai lavori di confrontarsi con ben quindici anni di vita produttiva del Trebbiano d’Abruzzo, apprezzandone la longevità e la notevole capacità di evoluzione. 1995-2002-2004-2005-2007-2009-2010 le vendemmie proposte in degustazione, tutte capaci a modo proprio di esaltare la straordinaria personalità e complessità di questo vitigno a torto ritenuto timido.
Il direttore Vizzari, abruzzofilo collaudato e di antica data, ci è particolarmente piaciuto, invece, per la sua franchezza in merito a certe derive autoreferenziali che anche noi avevamo sottolineato nel racconto del Vinitaly dell’anno scorso (leggi qui). «Non parlatevi addosso, non accontentatevi di picchiarvi la mano sulla spalla per dirvi quanto siete bravi o belli. Sacrificate quindi qualche momento di gratificazione con la stampa locale, alzate il tiro ed andate molto al di là dei vostri confini regionali», così ha concluso il suo intervento dopo aver battuto su tre parole chiave come qualità, identità e marketing, quest’ultimo inteso non limitatamente alla sola comunicazione, ma orientato verso la ricerca, lo studio professionale dei mercati e l’offerta di servizi sempre più sofisticati e puntuali che i consorzi dovrebbero offrire ai propri associati.
Tra questi due vertici, in ordine sparso, si è potuto assistere ad una degustazione di tre annate di Montonico dell’azienda La Quercia di Morro d’Oro, in provincia di Teramo; ad un insolito confronto only for the brave di basi spumanti ottenute dai vitigni autoctoni abruzzesi Montepulciano d’Abruzzo, Passerina, Pecorino, Cococciola e Montonico, utilizzate successivamente per la produzione di bollicine Abruzzo Dop, sia nella versione Charmat che Metodo Classico (anche millesimato), grazie ad un progetto sperimentale finanziato dal PSR che vede coinvolte l’azienda Citra (capofila), l’università di Teramo ed il Centro di Ricerca Viticola ed Enologica d’Abruzzo (C.Ri.V.E.A.); al racconto a cavallo tra verità e leggenda della riscoperta da parte della cantina teramana Villa Colle di Torricella Sicura di un singolare vitigno autoctono che pare abbia origine da un’antica varietà di gaglioppo; ad una verticale dal 2009 al 2014 di Pecorino dei Colli Aprutini dell’azienda agricola Biagi di Colonnella, sempre nel teramano.
Ma soprattutto, alla presentazione nazionale dopo l’anteprima loretana di qualche settimana fa dell’associazione èAbruzzo (leggi qui per saperne di più), alla presenza di un socio doc come Francesco Paolo Valentini che ha provveduto ad illustrarne gli obiettivi e le finalità, e con il coinvolgimento della squadra (quasi al completo) degli chef di Qualità Abruzzo i quali hanno dato vita ad un finger food party ad alto tasso mangereccio, risultato sicuramente l’evento più partecipato del Vinitaly abruzzese.
A proposito di questa (ri)trovata unità di intenti tra produttori, anche provenienti da settori diversi dell’agroalimentare, nel cercare di raccontare al resto del mondo l’identità di una regione unica, non pochi dubbi ci sono sorti nel leggere la nuova brochure promozionale del Consorzio di tutela del Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Docg.
Molto bella l’idea di raffigurare le mani segnate dalla fatica di ogni singolo associato con al centro del palmo un acino delle proprie uve; giusto anche ribadire che non siamo tutti uguali; ma quando si scrive testualmente di superiore qualità del vino e di area migliore di tutta la regione il discorso diventa scivoloso perché i due aggettivi contengono in sé anche il loro esatto contrario. Quali sarebbero dunque i vini di qualità inferiore e quali le peggiori aree di produzione? Non sarebbe (stato) meglio parlare semplicemente di diversità? Ecco, non vorremmo che nei prossimi mesi ci si ritrovi immersi in una sterile contrapposizione tra chi è più Abruzzo di altri che davvero non serve a nessuno.
Senza classifiche di sorta, si lavori unitariamente nella promozione di tutto ciò che di bello e buono il territorio è in grado di offrire, puntando sulla qualità ed esaltando al contempo le differenze. L’Expo è ormai dietro l’angolo. Bisogna volare alto, come ci ha ricordato anche Vizzari. Impresso sull’etichetta del suo vino, sorridendoci da amico, Razzi è vivo e lotta contro di noi.