testo di Ivan Masciovecchio.
Con una citazione sul valore primario della conoscenza, in cucina come nella vita, si è aperta la seconda edizione di MEETinCUCINA il congresso culinario made in Abruzzo rivolto ad operatori del settore ed addetti ai lavori, andato in scena nei giorni scorsi presso il Centro Espositivo della Camera di Commercio di Chieti.
Assente causa malanni di stagione, Niko Romito si è comunque materializzato in sala attraverso un breve messaggio tratto dall’introduzione alle sue 10 lezioni di cucina (ed. Giunti Piattoforte) letto alla platea da Massimo Di Cintio, artefice dell’evento in collaborazione con Andrea Di Felice, presidente dell’Unione Cuochi Abruzzesi, e Lorenzo Pace, già presidente dell’Associazione Cuochi Pescara.
«Il pubblico dell’alta cucina sta cambiando ed è indispensabile creare i presupposti per una crescita condivisa. […] Vorrei che più di tutto passasse una celebrazione dell’onestà, verso l’ingrediente, verso se stessi e verso il cliente, e un’esortazione a non abbandonare la ricerca, intesa non come bandiera ma come approfondimento accessibile. Con questo non intendo che tutti debbano fare una cucina di sperimentazione, ma è indubbio che oggi vi si dedichino in pochi, e mi domando perché. In tempi di crisi forse è più facile accantonare lo studio in favore di una corsa alla gratificazione istantanea. Anche io so bene cosa significhi la crisi: sono un cuoco autodidatta e lavoro in un piccolo centro abitato dell’Abruzzo sudoccidentale, eppure non ho mai smesso di fare ricerca. Ai miei ragazzi insegno l’inutilità della scorciatoia. A me loro insegnano la speranza».
Con la presenza on stage della famiglia Tinari del ristorante Villa Maiella di Guardiagrele (CH), si è quindi entrati nel vivo dei lavori. Papà Peppino ed il giovane chef Arcangelo si sono cimentati nella lavorazione di un controfiletto di vitello servito… come un carpaccio senza esserlo effettivamente, sottoposto ad un processo di salatura e marinatura per circa 36-48 ore, miscelando tutta una serie di spezie a partire dal caffè e comprendendo anche cacao, ginepro, cumino montano, pepe ed una vinaigrette di clementine. Tagliato a fettine sottili, è stato completato con una maionese allo zenzero (per donare grassezza), julienne di arancia confit (per la nota balsamica), fiori eduli di begonia (per l’acidità), peperoncino e finocchio marino; sensazioni nette e riconoscibili per un piatto dalla straordinaria complessità aromatica.
Assente l’anno passato, Cristian Di Tillio del ristorante Il Ritrovo d’Abruzzo di Civitella Casanova (PE) ha fatto il suo esordio sul palco di MEETinCUCINA proponendo in chiave moderna un piatto della memoria tutto a base di coniglio, ispirato dal ricordo della nonna che lo cucinava tutto intero sotto il coppo al fuoco lento della brace del camino. Attualizzato, è stato presentato disossato e cotto a bassa temperatura (con rosolatura finale), variamente condito con erbe e cipollotti spontanei, aglio, alloro, finocchietto e tè nero; ed infine servito con patate viola (in purea e cialde croccanti) e polpa di peperone secco. In omaggio all’ospite speciale autore del famoso Magnum di foie gras, con il fegato dell’animale lo chef Di Tillio ha invece realizzato un godurioso croccantino all’amarena. «Ho saltato il fegato in padella con maggiorana e burro – ha raccontato. Successivamente l’ho frullato con burro fresco, un po’ di panna, sale e pepe bianco, ottenendo una vera e propria crema che ho poi inserito in stampi per gelato con amarene, granelle di nocciole e cioccolato».
Introdotto dall’amico Alessandro Bocchetti del Gambero Rosso come il più vecchio dei giovani chef abruzzesi, Nicola Fossaceca del ristorante Al Metrò di San Salvo Marina (CH), si è concentrato sul tema dell’affumicatura, offrendo all’attenta platea un Raviolo di ricotta affumicata con brodo di vongole e ricci di mare. Contaminazione tra mare e campagna per un piatto ideato appositamente per il congresso, realizzato utilizzando una ricotta di pecora super artigianale di un produttore di Lentella (CH) fornitore abituale dello chef, affumicata a freddo con legno di melo e bacche di ginepro; e grazie ad un sauté di vongole leggermente diverso dal classico, arricchito dei profumi e delle sfumature del peperoncino, dell’alloro, della menta, del timo, completato dal tocco iodato dato dal riccio di mare.
Reduce dalle tristi polemiche teramane dovute dalla partecipazione al programma televisivo Geo&Geo dove ha avuto l’ardire di proporre un piatto liberamente ispirato alle virtù teramane che ha fatto gridare al sacrilegio, Nadia Moscardi del ristorante Elodia dell’Aquila non si è lasciata intimidire presentando nuovamente – oltre ad un Cremoso di liquirizia di Atri con frutti rossi aromatizzati con sciroppo di erbe spontanee – il piatto della discordia ovvero quelle Consistenze dell’orto già portate sul palco milanese di Identità Golose l’anno passato e qui private delle proteine e dei carboidrati per farne una versione esclusivamente vegetale. Sulla base del piatto, una crema di bucce di patata turchesa accoglieva una selezione di legumi (cotti separatamente) come i ceci di Navelli, i fagioli bianchi di Paganica, le lenticchie di S. Stefano di Sessanio, il robiglio, ovvero una sorta di pisello selvatico meritoriamente riscoperto insieme a diversi altri alimenti grazie al preziosissimo lavoro dell’ente Parco Gran Sasso e Monti della Laga. A tutto ciò si aggiungeva la pastinaca (carota bianca) fritta e tagliata a listarelle per dare una nota croccante, tartufo nero ed un tripudio di verdure comprendenti spinacio, cavolo viola, rapa rossa, pomodoro, verza, fungo champignon, precedentemente disidratate in modo da concentrare sapori e valori nutritivi.
Sono stati tre, invece, i piatti presentati dallo chef del ristorante Cafè Les Paillotes di Pescara, Matteo Iannaccone; tutti a base di pesce crudo. Il primo in versione leggermente più spinta, ovvero Tonno marinato allo zenzero con finta maionese, guacamole e meringa alla soia. Dove la finta maionese è stata realizzata con wasabi e purea di topinambur, mentre il guacamole è stato rafforzato con pomodoro e tabasco. Servito su un letto di ghiaccio secco reso fumante da un infuso di zenzero, il piatto è risultato anche il più scenografico della giornata. Al contrario, il Millefoglie di manioca con tartare di branzino e burrata si è presentato estremamente naturale, con la manioca semplicemente bollita e frullata e la tartare condita solo con olio, sale, pepe ed erba cipollina. Completava il piatto una riduzione di porto rosso. Nel Fusillone allo zafferano, liquirizia di Atri e tartare di tonno, infine, la tartare condita con sale, olio e polvere di liquirizia, era accolta da una purea di broccolo barese alla base del piatto.
In attesa dell’ospite d’onore, il prof. Leonardo Seghetti ha ricordato a tutti che «oggi chi fa il pane deve essere coltivatore, perché deve conoscere la madre terra, il seme e le sue caratteristiche; mugnaio, poiché deve saper riconoscere la farina; e poi panificatore». Con un consumo di pane arrivato a circa 90 grammi giornalieri pro capite secondo un’indagine Coldiretti (erano oltre 200 solo qualche decennio fa), ha ricordato a tutti le qualità di quello che è il primo degli alimenti, compagno fedele dell’uomo. «Non stanca mai, grazie alle sue caratteristiche organolettiche estremamente fini si ha voglia di mangiarlo sempre. Consente una migliore masticazione e quindi favorisce la digeribilità degli alimenti. Regola la velocità di transito del cibo nell’apparato digerente. Influenza la secrezione dei succhi gastrici. Favorisce in positivo l’assorbimento dei principi nutritivi degli altri alimenti. Influenza la sensazione di sazietà, rilascia in modo graduale tutta la sua capacità energetica, esalta il sapore dei cibi. Un semplice tocco di pane con l’olio è il miglior benvenuto sul territorio che si possa dare a chi viene a trovarci».
Senza sminuire il valore dei relatori in programma, i circa 600 partecipanti erano lì soprattutto per lui; e lui non ha deluso le aspettative, raccontando in poco più di un’ora, con il consueto carisma, il suo pensiero lento accompagnato dal gesto veloce, la sua idea di mondo, la sua visione del futuro. Lui è Massimo Bottura del ristorante Osteria Francescana di Modena, miglior ristorante d’Italia secondo tutte le guide gastronomiche nazionali, nonché secondo ristorante del mondo per la classifica World’s 50 Best Restaurants redatta dalla rivista Restaurant Magazine.
Svelando i suoi ingredienti per una ricetta perfetta ovvero consapevolezza, visione, intuizione, ha esortato la giovane platea composta principalmente da ragazzi delle scuole alberghiere a credere sempre nei propri desideri (se lo puoi sognare, lo puoi realizzare) perché i treni passano sempre all’alba e partono puntuali; bisogna prendere e salirci sopra. Non bisogna avere fretta di entrare nella cucina di un ristorante, per quello ci sarà sempre tempo. Viaggiare, investire in cultura, continuare a studiare, contaminarsi, aprirsi al mondo, senza dimenticare chi siete e da dove venite. Ha poi raccontato la genesi di due dei suoi piatti clamorosi (di cui parleremo nel dettaglio prossimamente), come La parte croccante di una lasagna, nato dalla consapevolezza di un falso storico diffuso nel mondo come lo spaghetto alla bolognese. E di quel concentrato di straordinaria bontà che è Opss mi è caduta la crostatina al limone, nata da un’intuizione capace di ricostruire in modo perfetto l’imperfetto.
Grazie anche alla presenza nella sua squadra dell’abruzzese di Bellante (TE) Davide Di Fabio, con lui ormai da undici anni (è arrivato che eravamo in cinque, ora siamo quarantatre), ha poi omaggiato la nostra regione realizzando un piatto appositamente per l’occasione, chiamandolo Osvaldo Bun in onore del padre di Davide. Una sorta di kebab all’abruzzese dove un piccolo pane della tradizione orientale (più coreana che giapponese) realizzato con farina, sciroppo al 30% di zucchero, latte, strutto, lievito madre alle amarene lievitato tre volte e poi cotto al vapore, viene farcito con la carne dell’arrosticino – che non viene quindi rivisitato, come pure è stato erroneamente detto, rappresentando in questo caso soltanto un ingrediente della preparazione – e condita con una mostarda di mele campanine, un mix di ceci e zafferano fermentati a 30° per più di un mese, frullati e passati al setaccio, una crema che vagamente ricorda la salsa barbecue, pomodoro, aglio, peperoncino, polvere di peperoni affumicati, pickle di finocchio con mostarda e semi di finocchio, erbe aromatiche ed olio extravergine d’oliva dell’azienda abruzzese Palusci. Uno street food gourmet dove però il sapore della pecora viene inevitabilmente sopraffatto dal pur gustoso mix di intingoli.
Insignito dall’Ordine dei Cavalieri dei Maccheroni alla Chitarra – con tanto di carraturo regalato e suonato sul palco, ritraendosi davanti all’appellativo di maestro (maestro è solo Vissani) –, Bottura ha infine salutato la platea svelando il suo ultimo progetto: un’università da realizzare tra Modena e Bologna dove far crescere e formare i casari, i contadini ed i cuochi di domani, perché il futuro è un gesto sociale.
Risultati penalizzati dalla collocazione subito dopo l’esibizione di Bottura, quando ormai l’attenzione era definitivamente scemata, ad ascoltare Marcello e Mattia Spadone del ristorante La Bandiera di Civitella Casanova (PE) sono rimasti only the brave, come sottolineato da Bocchetti. Una parterre dimezzato ed in via di smobilitazione dopo la lunga giornata di lavori ha comunque potuto apprezzare il gioco di consistenze e di trame ottenuto dalla lavorazione e dalla cottura lenta di un mix di ortaggi freschi coltivati e raccolti nell’orto del ristorante curato personalmente da Bruna Sablone, moglie di Marcello e mamma di Mattia, nonché inesauribile motore del ristorante, come rapa rossa, topinambur, barbabietola, carota, verza, arricchito da un purè di patata dolce, una salsa ricavata con rafano e ghiande e yogurt con sale di Cervia. Poi foto di gruppo, saluti e un arrivederci alla terza edizione.