testo e foto di Ivan Masciovecchio.
In occasione del viaggio del Treno della Birra d’Abruzzo sulla storica Transiberiana d’Italia, organizzato dall’associazione Le Rotaie in collaborazione con Fondazione FS Italiane per il prossimo sabato 27 agosto con meta di giornata la stazione di Alfedena/Scontrone (prenotazioni già aperte, per info e contatti tel. 340 0906221 oppure mail: prenotazioni@lerotaie.com), dove si potrà assistere ad una mostra documentale sull’antico birrificio regionale degustando birre artigianali abruzzesi e molisane, pubblichiamo una versione aggiornata dell’articolo già apparso sul numero 34 della rivista con il titolo Il sogno interrotto della Birra d’Abruzzo relativo alla sua storia triste ed affascinante.
Una trama purtroppo senza lieto fine, giunta fino a noi esclusivamente grazie alla curiosità ed all’intraprendenza di una bibliotecaria di provincia, che a proprie spese ne ha recuperato la documentazione; un racconto che sa di passato ma che guarda comunque al futuro per merito di un’amministrazione comunale lungimirante che ha deciso di non disperderla, immaginando un’occasione di sviluppo economico e turistico per tutto il comprensorio.
Maria Domenica Santucci è la responsabile della biblioteca comunale “Vincenzo Balzano” di Castel di Sangro ed è lei che ci introduce nell’avvincente universo della Società Anonima Birra d’Abruzzo, il piccolo stabilimento per la Fabbricazione della Birra e del Ghiaccio che dalla fondazione nel 1921 e fino al 1930 divenne il concorrente più temibile della già affermata Peroni, surclassandone le vendite grazie ad una intelligente politica di prezzi calmierati e, soprattutto, alla straordinaria bontà artigianale della birra prodotta. «Tutto nasce dalla pubblicazione nel 2001 dell’inventario dei documenti custoditi nell’archivio della Peroni, provenienti dai fondi delle società assorbite ed acquisite nel corso degli anni, che un giorno ho ricevuto in dono da mia sorella» ci dice. Tra questi, come si legge nella nota storico-archivistica introduttiva, la documentazione relativa alla società abruzzese si presenta come la più ricca ed interessante.
Costituita con sede legale a Milano con un capitale sociale di 2,5 milioni di lire, la Birra d’Abruzzo scelse di installare i propri impianti all’interno dell’ex stabilimento delle Torbiere Riunite di proprietà del barone Angeloni di Roccaraso, grazie anche alla possibilità di disporre facilmente del combustibile da utilizzare per le cotte (sostituito in un secondo momento dal carbone) ed alla presenza della ferrovia Sulmona-Carpinone in grado di facilitare spedizioni ed approvvigionamenti di materie prime (orzo caramellato, luppolo, lievito) dalla Germania mediante l’utilizzo di un raccordo costruito appositamente, che dalla vicina stazione di Montenero Valcocchiara conduceva fin dentro allo stabilimento. Impiegava in totale un centinaio di persone, manodopera in gran parte già impegnata nella torbiera.
Tutta la struttura, oltre al corpo di fabbrica vero e proprio – un rettangolo di circa 50 metri di lunghezza per 20 di larghezza al quale, sul lato nord, era aggiunto un altro blocco dalla forma allungata di circa 6 metri per 36, utilizzato come magazzino per le casse vuote di birra – comprendeva uffici e abitazioni distinte tra operai e impiegati, officina, garage ed un grande cortile con l’orto. L’edificio principale era strutturato in altezza su quattro livelli nella parte anteriore, tre nella parte centrale e due in quella posteriore; una differenziazione dovuta alle diverse funzioni che si svolgevano nei vari ambienti. Analizzando nel dettaglio i tre singoli segmenti, la prima zona era quella dove la birra veniva effettivamente prodotta. Al piano terra c’era la sala motori con tutti i macchinari, le trasmissioni, le condutture e le pompe per il funzionamento delle caldaie; sul lato nord, insistevano anche i frigoriferi che consentivano il funzionamento della fabbrica e gli impianti generatori di ghiaccio; sempre al pianterreno, nella grande sala centrale, avveniva l’imbottigliamento. Al secondo livello c’era la sala cottura vera e propria – il Sudhaus – a doppia altezza e con le grandi aperture visibili sulla facciata; le aree ai lati della stessa – identificate da tre finestre solo disegnate sulla muratura ma mai effettivamente aperte – erano usate come laboratori e uffici del direttore tecnico e del capo birraio. Nei piani superiori, infine, trovavano posto i magazzini e gli spazi per la lavorazione del malto. Negli ambienti della parte centrale, invece, si svolgeva sia la fermentazione che il raffreddamento del mosto, procedimenti che necessitavano di stanze molto ampie e con un grande ricircolo di aria, collegate tra loro attraverso una scala quadrata a quattro rampe. Nella terza ed ultima parte – quella posteriore, attualmente non più esistente – la più antica, in quanto ricavata nell’ex magazzino della torba, c’erano alcuni depositi e le cantine.
Spulciando tra i documenti, con un misto di stupore e nostalgia si viene a sapere che il birrificio disponeva – tra le varie attrezzature – di una caldaia con capacità di 64 hl, un riscaldatore d’acqua da 85 hl, un estrattore di luppolo, un apparecchio per il raffreddamento del mosto interamente in rame stagnato ed un mescolatore d’acqua completo con coperchio in bronzo. Per l’acquisto di tutto l’impianto furono richieste 125.000 lire, pagabili 25.000 in contanti entro il 15 settembre 1922, 25.000 alla spedizione dei materiali, 25.000 al ricevimento, 50.000 in azioni della società. Sotto la direzione del dott. Di Bartolomeo nel giro di pochi anni la produzione raggiunse i 6.000 ettolitri, sbaragliando tutta la concorrenza – compreso il colosso Peroni – grazie anche ad un prezzo competitivo di 2,30 lire a bottiglia. Non era questo però il solo segreto del successo della Birra d’Abruzzo, perché anche abbassando l’importo a 2 lire la Peroni non riuscì mai a recuperare le quote di mercato perse in precedenza. Dotato di un punto vendita aziendale al dettaglio, il birrificio rappresentava un piacevole luogo di aggregazione sociale dove nei giorni di festa ci si dava appuntamento per una gita all’aria aperta in cui mangiare e, soprattutto, bere senza riserve, svuotando anche intere cassette da 25 bottiglie!
In un’ottica di sviluppo sostenibile grande attenzione veniva riposta agli scarti alimentari della produzione, soprattutto residui di orzo caramellato, venduti agli allevatori delle zone limitrofe, ben felici di poter disporre di abbondante mangime per le loro bestie, nutriente ed a costi relativamente bassi (circa 10 lire al quintale). Singolare a tal proposito anche un documento datato 1930 in cui una ditta del nord Italia si dimostrava interessata all’acquisto di pece usata di rifiuto da impiegare nella fabbricazione di disinfettante greggio per alberi da frutta nell’Alto Adige, per i quali sarebbe stata disposta a pagare tra le 45 e le 60 lire al quintale. Anche la promozione e la comunicazione erano aspetti che non venivano trascurati, come attesta la partecipazione con un proprio spazio espositivo nell’agosto del 1923 alla fiera campionaria di Castellammare Adriatico, la futura Pescara. Insomma, tutto sembrava procedere a gonfie vele per la spumeggiante Birra d’Abruzzo.
Invece, com’era facilmente immaginabile, con le vendite praticamente azzerate nel breve volgere di qualche anno, la Peroni non tollerò ancora a lungo questo stato di cose. Fu così che all’interno di un disegno complessivo di acquisizioni di stabilimenti periferici come le Birrerie Meridionali di Napoli, forte della propria capacità di persuasione e del peso economico che era in grado di mettere in campo, nel 1930 riuscì finalmente a conquistare il pacchetto di maggioranza della società abruzzese. L’assemblea straordinaria degli azionisti fu convocata a Roma il 31 marzo del 1930. Erano presenti dieci soci rappresentativi in proprio e per delega di 1936 azioni sociali su 2500. Nel corso dell’incontro fu deliberato all’unanimità lo scioglimento anticipato della società e la conseguente messa in liquidazione a far data dal 15 aprile 1930, nominando liquidatore l’avv. Luigi Lepore.
Chiusa la fabbrica e tolto di mezzo il minaccioso concorrente, i macchinari furono trasferiti negli stabilimenti di Napoli e Bari. L’ultimo atto della breve e gloriosa storia della Birra d’Abruzzo fu sottoscritto il 19 settembre del 1936 nella sede del notaio Vincenzo Ruggieri di Roma, con la messa in vendita dei terreni e dei fabbricati ad un prezzo a base d’asta fissato in 18.000 lire.
Venduto nello stesso anno al sig. Gregorio Di Loreto di Alfedena, durante la seconda guerra mondiale lo stabilimento subì danni ingenti. Nel 1957 fu acquisito dal sacerdote don Edolo Casacchia il quale, dopo diversi lavori di ristrutturazione, lo trasformò in un orfanotrofio con annessi caseificio ed allevamento di bovini. La struttura fu definitivamente abbandonata nel 1972 quando a Castel di Sangro fu terminata la costruzione del complesso denominato Pax Christi dove il parroco trasferì l’orfanotrofio. Circondato da sterpaglie e rovi, oggi di quel sogno interrotto non resta che un rudere scrostato lungo la ferrovia; un esempio di archeologia industriale interessato nel 2001 da un progetto di recupero architettonico elaborato dall’arch. Giovanna Di Vito all’interno della propria tesi di laurea costituita da ben 21 tavole grafiche. «Considerato che in prossimità dell’area di studio di trova uno degli incroci tratturali più importanti del Sannio – ci spiega l’architetto – nella parte anteriore del vecchio birrificio avevo previsto la realizzazione di un museo della transumanza con servizi, sale espositive, laboratori didattici e biblioteca a tema. Nella parte posteriore, invece, dove si lavorava la torba estratta nel vicino Pantano di Montenero, ipotizzavo la realizzazione di un caseificio artigianale, con dimostrazioni del processo produttivo e vendita diretta. Se nel 2001, nonostante qualche segno di degrado, il birrificio era ancora recuperabile, oggi purtroppo a causa dell’abbandono e della mancanza di manutenzione le strutture sono seriamente compromesse; l’ex magazzino della torba già non c’è più, sulla parte anteriore del prospetto nord è sparita anche la scritta BIRRA D’ABRUZZO realizzata con intonaco di colore azzurro; a breve quindi si perderà definitivamente un’importante testimonianza della storia di questo territorio, nonché un valido esempio di architettura industriale tipica dei birrifici degli anni ‘20».
Il paese di Scontrone, piccolo borgo autentico d’Italia adagiato sulla sponda sinistra del fiume Sangro, proprio a ridosso del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise – noto per i caratteristici murales che ne colorano le vie e le piazze, nonché per essere il primo Borgo della Lettura d’Abruzzo (leggi qui per saperne di più) – ha deciso di riannodare in qualche modo i fili con il proprio passato, provando a ragionare su un futuro possibile che preveda allo stesso tempo uno sbocco occupazionale per i giovani del paese ed uno sviluppo turistico ed economico del territorio. E chissà che tra qualche anno non si possa tornare a brindare ad una nuova birra d’Abruzzo, che al gusto amaro di ciò che è stato contrapponga il sapore dolce di ciò che sarà.