ll silenzio e la luce avvolgono il nitido borgo dell’antica cittadina, al crocevia tra popoli e strade, custode inconsueta di memorie e di nascosti tesori
testo di Gabriella Magazzeni
Tigli secolari, in un lungo viale alberato, cingono una salita che porta a una rotatoria, sul lato sinistro è ubicato il Municipio. Giochi di luce e ombre si susseguono su mura consumate dal tempo, anziani seduti su una panchina che parlano, un sorriso si abbozza sui loro visi stanchi e rugosi, segnati dal tempo, dal lavoro nei campi. Segue subito un saluto, gentile e onesto, che ha un sapore autentico e d’altri tempi.
Il silenzio, la nitidezza della luce catturano l’attenzione su questo borgo dove in una targa si legge: Comune di Ancarano m.293 s.l.m.
Ancarano, borgo antichissimo, è posto al confine tra l’Abruzzo e le Marche, ha una storia incredibile e affascinante alle spalle, caratterizzata da un susseguirsi di battaglie e scorrerie; come tutti i paesi di confine ha sempre risentito dell’influenza della vicina popolazione di Ascoli Piceno.
Le sue origini risalgono già dal I millennio a. C., quando nella zona si insediarono diverse etnie, Pelasgiche, Etrusche, Picene e furono proprio i Piceni, popolazione dell’Italia antica, che si stanziarono nell’area corrispondente al Piceno, regione compresa fra gli Appennini e il mare Adriatico, delimitata a nord dal fiume Esino e a sud dal Salino.
Fu un popolo aperto alle culture del Mediterraneo e dell’Europa continentale, che condizionò gli abitanti del posto. Si stabilirono in questa regione fin dal Neolitico, sviluppando nel corso del I millennio a.C. una cultura marcatamente unitaria, caratterizzata dall’impiego del rito funebre inumatorio e da una lingua ricca d’influenze illiriche. La cultura dei Piceni raggiunse l’apogeo nel VII e nel VI secolo a. C., all’interno di un circuito di rapporti economici e culturali con l’Etruria, l’Apuleia e la penisola balcanica. A questo periodo appartengono le ricche necropoli di Novilara, Fabriano, Alfedena e Capestrano; da quest’ultima proviene uno dei capolavori della scultura italica, il cosiddetto Guerriero di Capestrano, che appartiene oggi al Museo Archeologico di Chieti, e rappresenta il riflesso di una società aristocratica fortemente conservatrice dal punto di vista politico e culturale. Ancarano, così vicina, non potè esentarsi dall’influenza picena e divenne presto uno dei Castelli del Vescovo di Ascoli Piceno.
Ancarano, sorse proprio intorno al tempio di Ancaria – Dea etrusca – venerata dai Piceni, da cui deriva il nome. Più volte fu saccheggiata da Annibale, dagli Unni, dai Goti e Longobardi. Distrutta da Pipino, figlio di Carlo Magno, durante la battaglia contro il Duca di Benevento fu fatta ricostruire proprio per volere del padre Carlo Magno e successivamente fu donata insieme a altri castelli al Vescovo di Ascoli Piceno. Questo borgo costituì una baronia della Mensa Vescovile tanto da diventarne residenza estiva.
Il Palazzo del Vescovo fu costruito e ricostruito diverse volte, in seguito ai vari saccheggi subiti. Vantava 31 vani, di cui alcuni saloni affrescati con soffitti a cassettoni (nel 1867 diverrà la sede dell’Asilo Infantile Spalazzi – uno dei primi in Italia – che porta il nome del suo benefattore). Nel Medioevo iniziò la venerazione della Madonna della Pace, a testimonianza del desiderio da parte dei cittadini di trovare, dopo tante invasioni subite, un po’ di pace. Nel 1400 fu coinvolta nelle lotte fra Giosia Acquaviva Duca di Atri e Francesco Sforza, governatore della Marca. Grazie all’appoggio del Duca di Urbino, ristabilì la pace nelle battaglie con la vicino Torano, fu allora che, secondo alcuni studiosi, gli abitanti commissionarono a Silvestro dall’Aquila (1450-1504) – pseudonimo di Silvestro Ariscola, scultore di fama nazionale, la rappresentazione della statua lignea della Madonna della Pace (1490), raffigurante una Madonna con il bambino dal gusto tipicamente toscano, molto vicino all’attività napoletana del Rossellino.
Il 1527 fu l’anno della famosa pestilenza che si sviluppò ovunque, non escludendo nemmeno le zone di periferia, così anche Ancarano subì numerose perdite, tanto che venne costruita la Chiesa suburbana di San Rocco con fosse carnaie oltre le già in uso. Anche in questo borgo era consuetudine tumulare i defunti nelle fosse carnaie: ad esempio, si parla di Chiesa sotterranea o cripta di Santa Maria della Pace, dove se ne trovano di quattro tipi: una riservata ai sacerdoti, una agli angeli, una per le sepolture comuni distinte per uomini e donne ed infine una per i componenti delle famiglie gentilizie. Bisognerà aspettare fino al 1880, anno di costruzione del Cimitero di San Rocco, sorto nelle immediate vicinanze della suddetta Chiesa, per dare fine a questo tipo di sepoltura.
Nel 1557 fu conquistata dagli spagnoli del duca d’Alba. Demolita, venne ricostruita dagli scampati un anno dopo. Andarono distrutti, a causa degli incendi, libri comunali e parrocchiali nonché il testo degli Statuti. L’opera di ricostruzione fu affidata a quattro illustri cittadini con l’ausilio del Vescovo Roverella.
Dal 1808 al 1812 fu aggregata al Regno Napoleonico. Nel 1818 fu incorporata allo Stato Pontificio, ed entrò a far parte della Repubblica Romana nel 1848. Nel 1852, per una permuta di terreni, Ancarano fu annessa al Regno delle Due Sicilie e nel 1860 si proclamò a Teramo il governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia. Di questo antico borgo fortificato, posto in posizione dominante sulla valle del Tronto, ancora si conservano le due porte: Porta da Monte e Porta da Mare (foto a sinistra) poste nelle vecchie mura del castello.
Porta da Monte si affaccia versi i monti Sibillini, quelli della Laga e del Gran Sasso. È sovrastata da stemmi dei Vescovi di Ascoli (foto in alto) che hanno sempre rappresentato i Signori del posto, vanta un buono stato di conservazione dei blocchi di travertino e a poca distanza si trova una torre di difesa ancora evidente, oltre ai beccatelli e ai fori per le catene del ponte elevatoio. La Porta da Mare sovrasta la vallata verso il Mare Adriatico anch’essa in buono stato di conservazione, anche qui, nella parte estrema sono posti sull’arco gli stemmi Vescovili.
Importante da visitare è la famosa Fonte Monsignore, una fonte – sorgente risalente all’epoca romana, riportata alla luce poco tempo fa per opera di volontari cittadini che hanno aderito all’iniziativa di Lega Ambiente: “Puliamo il Mondo”. Già camminando in prossimità del luogo si può ascoltare il rumore forte dell’acqua che fuoriesce da questa antica cisterna coperta, realizzata in mattoni, ad uso potabile, per poi riversarsi nel Fosso Rio. Il pensiero non può non soffermarsi su quante massaie, giovani donne in cerca di marito, approfittando nell’andare a prendere l’acqua o a lavare le lenzuola hanno trovato, in questo luogo, il punto di incontro con giovani aitanti del posto. Chissà quanti sguardi incrociati, baci rubati, appuntamenti nascosti.
Questa terra ha dato i natali a illustri personaggi: Francesco Stabili detto Cecco d’Ascoli, astrologo e cattedratico a Bologna, fu però accusato di eresia e, processato dal Tribunale dell’Inquisizione, venne condannato al rogo a Firenze; Francesco Maria Vannozzi, filosofo. Il Barone Antonio De Angelis, poeta e uomo politico già Prefetto di Ascoli che sposò Maria Caterina Geltrude Mengs, ottava figlia del famosissimo pittore e teorico tedesco, Anton Raphael Mengs (1728-1779), il quale aderì al Neoclassicismo. Si trasferì a Roma diventando molto amico del Winckelmann, gli dipinse un autoritratto che oggi si trova al Metropolitan Museum di New York.
È importante visitare la Chiesa parrocchiale di Santa Maria della Pace, costruita nel 1958, che conserva all’interno la famosa statua in legno, posta tra due angeli in maiolica, dedicata alla Madonna della Pace. Sull’altare maggiore si custodisce un’urna dorata del 1759, nella quale sono raccolte le reliquie di San Simplicio, patrono del paese. Nella sagrestia vi sono altre testimonianze storiche, come un fregio di epoca romana, statue in legno, un tabernacolo e un Trono del 1700, tele tra le quali spicca quella della Madonna del Rosario di Nicola Monti e stemmi dei vescovi. Al XVII secolo risale anche la chiesa della Madonna della Misericordia, a pianta ottagonale. C’è da vedere la Casa natale dello scienziato Giuseppe Flaiani (1739-1808), posta sulla omonima via e l’ex Palazzo del Barone De Angelis, edificato nel XVI secolo con cornici alle finestre in pietra, decorate da rosette. Il centro storico vanta negozietti e botteghe d’artigianato e passeggiando per le rue – così chiamate dalla gente del posto – sembra che il tempo si sia fermato e la pace finalmente regni sovrana.