Testo di Sandro Galantini
Per secoli Giulianova aveva rappresentato per Castelli, vera capitale della ceramica, un riferimento privilegiato. Lo stesso signore della città, Giosia II Acquaviva d’Aragona, aveva suggellato il suo matrimonio con la cugina Margherita Caterina Ruffo, celebrato il 5 febbraio 1600, con un prezioso piatto (oggi al British Museum) che addirittura avviava la produzione castellana in pasta verde. Se nel ‘500, avvalendosi dello “scaro” di Giulianova, i Robazza, mercanti di origine bergamasca, avevano assicurato le materie prime (piombo, stagno, terra bianca e zaffera) ai maiolicari castellani, questi ultimi dall’approdo giuliese facevano partire i loro raffinati e richiestissimi manufatti. Come nel 1608, anno in cui abbiamo notizia di un galeone del portoghese Michele Vaez che aveva imbarcato «certi vasi di creta lavorati» destinati a Napoli.
Nel corso del ‘700 gli imbarchi da Giulianova si fanno più frequenti. È forse da Giulianova che partono le maioliche castellane, datate 1740, destinate ad adornare il meraviglioso chiostro del monastero napoletano di S. Chiara. Certamente è dallo “scaro” cittadino che nel 1716 giungono a Castelli piombo, stagno e colore smeraldino trasportati da una nave di Senigallia ed è da qui che si imbarcano le ceramiche castellane per la fiera della città marittima marchigiana, dove nel 1742 rappresentano la parte più rilevante dei prodotti abruzzesi presenti. Non è un caso che più tardi, nel 1760, proprio a Senigallia alcuni castellani daranno vita ad una fabbrica di stoviglie e di terracotta. Che fossero pielaghi o trabaccoli, oppure tartane, bagarozzi e paranze, in ogni caso erano numerosissime anche nella prima metà dell’Ottocento le imbarcazioni partite da Giulianova per Ancona, Senigallia ed altri porti della Penisola. Come Messina, Castellamare di Stabia, Livorno, Genova, Venezia e Trieste, dove nel 1833 giungono 5 barche con 500 ceste di maioliche.
Naturale, quindi, che a Giulianova, dovendosi provvedere alla sostituzione delle malridotte «rigiole» (cioè delle mattonelle in terracotta) che dal 1784 erano state usate per il rivestimento della cupola di San Flaviano, si pensasse a Castelli. Ma l’idea iniziale di usare mattonelle verniciate era stata accantonata sia per gli alti costi, sia perché si trattava di dare uniformità alla copertura esistente. Sicché nel 1838 si era optato per quelle in semplice terracotta. Per cui, come giustamente ha sostenuto Ottavio Di Stanislao nel suo recente libro (La chiesa di San Flaviano a Giulianova, 2016), viene il dubbio su quanto aveva scritto Vincenzo Bindi. E cioè che in origine la cupola di San Flaviano fosse tutta rivestita, con meraviglioso effetto ottico, di mattonelle a smalto di colore azzurro.