testo di Ivan Masciovecchio.
Inaugurata nei giorni scorsi con la presentazione del libro L’ozio coatto. Storia sociale del campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944) scritto dello storico abruzzese Giuseppe Lorentini, alla presenza – tra gli altri – dell’autore, del prof. Costantino Di Sante e del sindaco di Casoli Massimo Tiberini, resterà allestita nell’atrio del Palazzo della Provincia fino al prossimo 31 gennaio (dal lunedì al venerdì con orario continuato 8-18), la mostra storico-documentaria I campi di concentramento fascisti in Abruzzo dal 1940 al 1943.
Curata dallo stesso Lorentini – instancabile ideatore, creatore e responsabile del preziosissimo centro di documentazione online www.campocasoli.org – insieme a Kiara F. Abad Bruzzo, Gianni Orecchioni e Nicola Palombaro, e realizzata con il patrocinio ed il contributo dell’amministrazione comunale di Casoli, l’interessante esposizione si compone di 12 pannelli che raccontano di come la terra d’Abruzzo, anche in conseguenza della sua posizione periferica ed al tempo difficilmente raggiungibile, sia poi stata assoluta protagonista nel processo creativo dell’universo concentrazionario fascista ospitando ben 15 campi sui 48 totali, il numero più alto tra tutte le regioni d’Italia.
Partendo dalla domanda affatto scontata su cosa sia un campo di concentramento e sulle sue differenze con i luoghi di internamento e sterminio, la mostra dedica tre approfondimenti ai campi di Casoli e Lanciano, in provincia di Chieti – il primo composto dalle cantine di Palazzo Tilli, dall’ex sede del Municipio e da un’altra proprietà (ex cinema) sempre della famiglia Tilli, mentre il secondo ubicato a Villa Sorge alla periferia del città frentana –, e Corropoli nel teramano, istituito nella Badia dei Padri Celestini in contrada Colli.
Tra gli altri pannelli, particolarmente emozionati e di grande impatto emotivo risultano le riproduzioni di acquerelli e disegni (gli originali sono conservati al Museo di Storia contemporanea della Slovenia di Lubiana) con i quali il pittore sloveno Ljubo Ravnikar, internato nel 1941 prima a Corropoli e poi trasferito a Casoli nel 1942, ha documentato la sua esperienza di prigionia. Così come leggere della storia drammatica della famiglia Nagler, che dall’Ucraina arrivò a Trieste nel 1920. Subito dopo la dichiarazione di guerra padre e figlio furono internati a Casoli e successivamente a Ferramonti di Tarsia, in Calabria, mentre la madre si ricongiunse con loro a Castel Frentano nel dicembre 1941. Qui rastrellati dai tedeschi nel novembre 1943 vennero tutti trasferiti ad Auschwitz per essere sterminati nel febbraio 1944.
Con l’approssimarsi del Giorno della Memoria – ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno per non dimenticare le vittime dell’Olocausto – visitare la mostra storico-documentaria I campi di concentramento fascisti in Abruzzo dal 1940 al 1943 rappresenta dunque un’occasione unica per conoscere da vicino parte della nostra storia recente. Ci consente di mantenere vivo il ricordo su una pagina oscura del nostro passato e su chi ha sacrificato la propria esistenza affinché ciò che è stato non si ripeta mai più. Ci permette di scegliere da che parte stare perché «l’indifferenza è complice», come sa bene la senatrice a vita Liliana Segre che quegli avvenimenti li ha vissuti in prima persona sulla propria pelle. Ci concede infine il dono della consapevolezza, per sempre grati al valore della libertà.