A ridosso di una massiccia rupe, la fortezza di Civitella del Tronto domina una vasta area dell’Abruzzo settentrionale, nella Val Vibrata. È accreditata come una delle più imponenti opere di ingegneria militare realizzate in Italia. Con la sua possente mole e per la sua preziosa posizione strategica, dovette a lungo assicurare i confini tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio
testo di Enza Zullo, foto di Giovanni Lattanzi
La fortezza di Civitella del Tronto si estende per cinquecento metri di lunghezza e occupa un’area di circa 25mila metri quadrati. Secondo alcune fonti, sull’area già esisteva un castello intorno al Mille, anche se le prime notizie certe di una struttura fortificata risalgono solo al 1255. Sono noti poi, anche gli interventi di epoca angioina sulle preesistenti strutture fortificate di impianto svevo, consistenti nella realizzazione di torri di avvistamento, di cui restano delle tracce; ancora visibili anche resti del circuito murario risalenti allo stesso periodo. Intorno al XV secolo la fortezza appariva già come una piazzaforte difesa da cinque torri, in parte distrutte alla fine del secolo durante una rivolta dei cittadini contro i castellani. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, altri lavori furono eseguiti per rendere ulteriormente difendibile la rocca prima dell’assedio delle truppe francesi al comando del duca di Guisa, nel 1557. A questa fase risalirebbero la realizzazione di un torrione circolare e di un bastione pentagonale.
L’impianto che il complesso ancora oggi conserva, si deve a Filippo II di Spagna che, considerata l’importanza strategica del sito, ai confini con lo Stato pontificio, dopo il vittorioso assedio del 1557, si impegnò in consistenti lavori di realizzazione della fortezza vera e propria – durati un ventennio – rinforzando soprattutto il lato est e raddoppiando la cinta muraria in corrispondenza del borgo abitato.
Successivamente, durante il regno borbonico, altri lavori interessarono i bastioni di S. Pietro – intorno a cui fu sistemato il fossato- e di S. Andrea. Gravi danni alla struttura furono causati dagli assedi da parte dei francesi nel 1798 e nel 1806, tanto che nel 1820 fu necessaria una campagna di restauri. Nel 1861 la fortezza di Civitella fu l’ultima roccaforte ad arrendersi ai Sabaudi, addirittura qualche giorno dopo l’Unità d’Italia.
Da allora iniziò il lento declino della struttura: parzialmente smantellata, rimase infatti in abbandono per quasi un secolo e fu soggetta anche a demolizioni. Nella sua veste attuale, pertanto, la fortezza è frutto di numerosi interventi di rimaneggiamento intercorsi nei secoli e di una intensa campagna di restauri da parte del Ministero per i Beni e le attività culturali, condotta a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta del Novecento, che ne hanno visto ricostruire ampi tratti e consentito la riapertura al pubblico.
Oggi si accede alla fortezza passando per il bastione San Pietro: si giunge ad una prima piazza d’armi dove ci sono i baluardi di S. Andrea e S. Paolo. Sotto la piazza, si segnala un complesso sistema di canali e cisterne che consentivano la raccolta dell’acqua piovana e la sua purificazione. Una rampa dà l’accesso ad una seconda piazza d’armi, a cui difesa si erge il bastione di S. Giovanni e in cui sono ancora evidenti i resti degli alloggi per i militari; ancora più in alto è lo spazio più importante, la Gran Piazza, difesa dal bastione di S. Giacomo. Qui è presente il Palazzo del Governatore, terminato nel 1574, distribuito su due piani e dotato di tutto quanto necessario per poter approntare un’ultima strenua difesa, tra cui una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Accanto al Palazzo del Governatore, era la più importante chiesa della fortezza, quella di S. Giacomo, inaugurata nel 1604 ed oggi fortemente rimaneggiata. Al di sotto del Palazzo del Governatore ci sono spazi collegati con quelli situati sotto la Gran Piazza e quindi con l’uscita secondaria dalla fortezza. Non lontano dalla Gran Piazza, lungo il principale asse viario denominato Gran Strada, sono visibili i resti degli alloggi dei militari, distribuiti su uno o due livelli. Percorrendo il viale alberato della fortezza, dove un tempo oltre agli alloggi era anche la Cappella del Carmine – edifici distrutti agli inizi dell’Ottocento e mai più ricostruiti – si incontrano alcuni locali di servizio della roccaforte come il Gran Magazzino dell’Artiglieria, mentre sopra ci sono le cucine e le mense per i soldati, locali che oggi ospitano il museo della fortezza. La parte difensiva della fortezza era prevalentemente concentrata sul versante est, meno impervio e quindi più facilmente soggetto ad attacchi nemici e, per meglio scongiurare il pericolo, su questo lato la difesa era affidata ad una sequenza di tre camminamenti: nel Cinquecento, il primo pare avesse un fossato e un ponte levatoio ma c’era anche un grande camino per il riscaldamento delle sentinelle e una scala a chiocciola in pietra che consentiva un rapido accesso al bastione. Fra il primo ed il secondo camminamento, era posizionato la prigione detta “Calabozzo del Coccodrillo”. Sarebbero cinquecenteschi anche l’impianto delle mura difensive e la falsabraga di rinforzo sul lato sud, datata 1564. Le mura di difesa della fortezza si collegavano ad ovest direttamente all’impervia rupe naturale mentre ad est si riconnettevano alle mura di origine più antica, che già cingevano la preesistente struttura fortificata. In esse si aprivano a sud-ovest la Porta S. Antonio – di cui restano alcune tracce – Porta Napoli, di origini duecentesche, Porta delle Vigne, di epoca successiva, e la Porta delle Vene, oggi scomparsa.