A colloquio con Claudio Boffa, presidente di Confassociazioni Abruzzo, per fare il punto sulle strade che l’Abruzzo può percorrere per affrontare le sfide e i problemi che la crisi pandemica ha messo sotto gli occhi di tutti a livello globale.
Presidente Boffa, cosa fa Confassociazioni Abruzzo?
“Confassociazioni fa valutazioni di contesti specifici per proporre strumenti di crescita condivisa. Questo grazie alle tante anime e alle tante competenze che, su base regionale come su scala nazionale, costituiscono quel bacino di conoscenze che è rappresentato dai nostri iscritti e che è il vero patrimonio della realtà guidata dal nostro presidente nazionale Angelo Deiana. La nostra vocazione naturale è quella di “fare rete”, ma quando parliamo di questo a noi sta a cuore parlare di azioni mirate e concrete. L’Abruzzo ha un potenziale enorme, in buona parte ancora inespresso, e credo che la cosa migliore da fare sia porsi obiettivi condivisi, non limitati a questa o quella realtà. Stefano Cianciotta, che è il presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni, oltre che un amico, utilizza spesso un’espressione che mi piace molto, “alzare l’asticella”. Secondo noi l’obiettivo dell’Abruzzo deve essere questo, indipendentemente dai singoli campi o dai diversi settori a cui possiamo riferirci. La formazione, l’impresa, il lavoro culturale, che è determinante per la crescita della collettività, devono essere improntati alla massima qualità possibile. Quello che insegna il Piano Nazionale di Ripresa Resilienza è prorpio questo, cioè la necessità non più eludibile di imparare a strutturare intelligenza sui territori, in un’ottica proattiva e responsabile”.
Mirare in alto è giusto, ma è un proposito che spesso resta un mero e generico auspicio.
“Non credo esista una sola attività umana che non contempli rischi, anche di questo tipo, ma il punto non è tanto questo, quanto un altro. Bisogna capire che incrementare il livello qualitativo di un discorso presuppone la capacità preliminare di incrementare il livello di un determinato punto di vista. Voglio dire che prima di tutto dobbiamo sviluppare, e parlo al plurale perché mi riferisco all’insieme delle energie e delle specificità che sono il cuore della nostra regione, una capacità di ascolto che sia essa stessa selezione. Parlavo prima del Piano Nazionale di Ripresa Resilienza. Una cosa soprattutto ci dice questo Piano, cioè che senza qualità non c’è competitività e si rischia di essere esclusi da ogni selezione utile al territorio. Dobbiamo interpretare in modo intelligente e con progettualità responsabili le nostre effettive esigenze e i nostri margini di crescita. Per farlo, dobbiamo capire prima che cosa siamo capaci di fare e cosa non siamo capaci di fare. Serve uno scatto culturale e perché questo scatto sia possibile ne serve prima uno mentale. Quello che ci occorre è una mentalità capace di essere al passo con i tempi senza per questo trascurare, perché farlo sarebbe assurdo, i diritti, le specificità antropologiche e le caratteristiche ambientali di una terra. L’obiettivo è selezionare obiettivi possibili, sostenibili, gradini che permettano, uno dopo l’altro, una crescita, un progresso equo. In questo senso noi possiamo dare il nostro contributo”.
A cosa si riferisce esattamente?
«Quando dico che Confassociazioni fa valutazioni di contesto, cioè di situazioni variamente complesse, per individuare proposte capaci di contribuire alla crescita della collettività, intendo dire che la nostra realtà è come un grande laboratorio aperto. Dico questo senza voler ingigantire nulla, per carità, perché siamo tutti molto ben consci dei nostri limiti. Queso laboratorio ha una identità, che è appunto quella associativa, ma non ha porte e non ha finestre, è aperto, è al servizio di tutti. In che senso lo è? Lo è nel senso che al suo interno annovera competenze diverse che trovano però una configurazione sinergica proprio grazie alla natura unitaria della nostra struttura. Questo ci permette di essere una specie di “pensatoio”, dotato però di un senso di concretezza. Basti pensare che la maggior parte dei nostri iscritti sono espressione del mondo dell’impresa, del commercio e del sistema creditizio, sono cioè persone abituate a ragionare in termini strategici e tangibili”.
Quindi nella pratica come opera questo laboratorio?
“Supponiamo che, agli occhi delle diverse sensibilità che fanno capo a Confassociazioni Abruzzo, emergano problematiche, criticità oppure opportunità considerate importanti alla luce della nostra idea di crescita collettiva reale e sana, perché il punto di base di tutto è che vogliamo bene alla nostra terra. Una volta individuati questi ambiti, li studiamo, sia singolarmente sia attraverso il confronto interno. A quel punto, terminata la valutazione di contesto, elaboriamo, sulla base delle nostre competenze e delle nostre possibilità, delle proposte da mettere in campo, che possono andare dalla tavola rotonda alla pubblicazione di una ricerca propedeutica a un possibile progetto. A quel punto, avviamo un dialogo sul territorio con quei soggetti, in primo luogo istituzionali, che a nostro avviso offrono migliori possibilità di interlocuzione. Il nostro è un compito di analisi, di stimolo e di proposta”.
I vostri progetti per l’immediato?
“Abbiamo in agenda alcune azioni che a nostro avviso possono contribuire in maniera utile a ottimizzare le energie e le risorse che il nostro territorio offre. Siamo abituati a ragionare sul medio-lungo periodo e in questa prospettiva abbiamo concepito una serie di iniziative di cui avremo piacere di dare conto più avanti. La nostra idea è soprattutto una: creare le condizioni che permettano a realtà diverse di agire in un’ottica il più possibile condivisa è un servizio fondamentale per un territorio”.