Testo di Fulgenzio Ciccozzi
Domenica mattina, precedente all’adunata, il “Corso” si è svegliato al suono stridulo del violino di un “musicista errante”. Le note di una canzone francese Comme d’habitude (meglio conosciuta come “My Way”) rimbombavano tra i palazzi del “Corso” imbandierato e si lasciavano accarezzare da una leggere brezza che accompagnava le prime penne nere giunte in città. Gente, il cui accento tradisce origini nordiche, bighellonavo per le poche vie transitabili del Centro storico. Intanto le avanguardie alpine hanno cominciato a occupare i posti loro assegnati con camper e tende. Persino il piccolo parcheggio realizzato in via Giosuè Carducci, a Contrada Romani, è diventato teatro di questi avamposti. E allo sguardo curioso dei residenti, i solerti associati ANA ragguagliavano gli intervenuti spiegando che per qualche giorno avrebbero dovuto sopportare solo un po’ di baldoria. Vedremo. Piccoli disagi che saranno ripagati da un evento che renderà uniche queste giornate di maggio. Un maggio, inizialmente afoso, a volte piovoso, che fotografa una città ingigantita dal gran numero di persone già convenute. Lo scorso Aprile non era difficile incontrare ex alpini fregiare con il tricolore la nostra città.
Le bandiere che numerose sventolano nel cuore dell’Abruzzo sono già pronte ad accogliere la folla oceanica che da quì a qualche giorno affluirà all’Aquila. Un’onda di tricolore si riverserà nel capoluogo, sospinta da un crescente entusiasmo. L’evento stuzzica i ricordi e spinge i nostri “alpini di famiglia” a sfogliare pagine delle loro memorie. Mio padre, classe 1930, mi racconta di un freddo mattino di febbraio, giorno in cui dalla stazione dell’Aquila dovette lasciare la sua terra per prestare servizio militare come artigliere di montagna nella caserma di addestramento, a Belluno, e poi servire il Paese come alpino in quel di Udine. I ricordi di un’Italia in guerra erano ancora vivi. Le Alpi non erano poi così diverse dai nostri Appennini. Il rancio veniva servito ancora nelle gavette e si sorseggiavano le bevande in bicchieri di alluminio. I muli, a quei tempi, erano i fedeli collaboratori di questi soldati di montagna, prima che l’evoluzione delle tecniche operative costrinsero le forze armate a compiere delle scelte che non prevedevano più l’impiego dell’artiglieria someggiata. Zaino a tracollo e moschetto in spalla, centinaia di scarponi calpestavano per lunghi chilometri le zone pedemontane dispiegate sotto le aspre guglie dolomitiche. L’alfabetizzazione, pur se ormai molto diffusa nella società italiana postbellica, trovava ancora delle sacche di resistenza che si evidenziavano in maniera cruda durante il periodo di leva, proprio quando il mondo esterno schiudeva per la prima volta le sue porte ai giovani abitatori di quelle sperdute valli di altura. Il venerdì, solitamente, era dedicato alla corrispondenza. I soldati che non avevano ricevuto alcun insegnamento scolastico venivano fiancheggiati da altri commilitoni (solitamente caporali) nella lettura delle lettere e nella stesura dei testi. Parole di affetto, di amore, di nostalgia intingevano quei fogli slabbrati e corrosi dai ripetuti dispiegamenti e ripiegamenti. Le terre d’Abruzzo avevano bisogno di braccia robuste per coltivare i campi e sostenere le famiglie. L’emigrazione era alle porte e la necessità di comunicare era tanta. Poteva anche accadere di essere richiamati a casa per gravi motivi familiari che imponevano la presenza di forza lavoro in mancanza di altro sostegno. Già, anche questo accadeva. Altri tempi, diverse situazioni, stessi problemi. E’ passato quasi un secolo dalla prima adunata nazionale che si svolse sulla vetta dell’Ortigara. Oggi, quindicesimo anno del nuovo millennio, il Gran Sasso ha preso il posto di quei rilievi. Ma i valori e il senso di questo incontro sono sempre gli stessi: commemorare chi, come Cesare Battisti, ha dato la vita per difendere la libertà. Solo la società che li accoglie è cambiata: una società che annovera tra le sue file gente di “altri mondi”. I nuovi italiani, così li chiamano, si preparano insieme a tutti noi a sventolare il tricolore per salutare gli alpini e con loro ringraziare questa grande Nazione che, nonostante tutto e tutti, è l’Italia. Intanto L’Aquila, adagiata sul colle che si frappone tra la terra Vestina e quella Amiternina, vedrà sfilare, finalmente a casa sua, gli alpini di oggi e di ieri. Entrambi la renderanno ancora una volta protagonista di un grande evento, insieme all’Abruzzo: ultimo baluardo verso Sud di questi signori di montagna.