Intervista al giornalista e critico letterario Simone Gambacorta, responsabile delle pagine culturali del quotidiano “La Città”
di Paolo de Siena
Vive a Teramo, dove lavora nel quotidiano “La Città” come responsabile delle pagine culturali. Simone Gambacorta, quarant’anni, non è però solo un giornalista, ma anche un critico letterario e un operatore culturale. In quest’intervista parliamo con lui di giornalismo culturale, di critica letteraria e di letteratura, prendendo spunto dal romanzo “Tempo grande” di Gian Luigi Piccioli, che Gambacorta ha recuperato dal dimenticatoio a trentacinque anni dalla pubblicazione e riportato alla luce curandone la nuova edizione.
Oggi in Abruzzo quando si parla di cultura non si può non pensare a lei e al suo impegno. Mi riferisco a quello di responsabile delle pagine culturali del quotidiano “La Città” di Teramo, che lei ha reso un riferimento anche al di fuori della provincia in cui viene venduto.
«Ormai sette anni fa, quando il direttore Alessandro Misson ha voluto che curassi le pagine culturali del quotidiano che era appena stato chiamato a dirigere, pensai a come poter combinare qualcosa di buono. Come spesso succede, la risposta era sotto gli occhi: siccome siamo un quotidiano locale – mi dissi – non dobbiamo essere localistici; siccome siamo un quotidiano di provincia, non dobbiamo essere provinciali. Pensai che fosse necessario trattare di cultura bilanciando tematiche relative al cosiddetto territorio con tematiche non necessariamente legate ad esso».
Che risultati ha dato questa politica?
«Direi più che buoni, i nostri lettori hanno dimostrato di apprezzare questa attenzione all’apertura, al confronto, anche perché la portiamo avanti senza mai dimenticare o accantonare il rapporto fondativo e fondamentale con la realtà di cui il nostro quotidiano è espressione, ossia il Teramano e l’Abruzzo. Sono grato al direttore Misson per avermi sempre dato carta bianca per tutto quel che riguarda le pagine di cultura del giornale. La cultura è un settore strategico del quotidiano “La Città” e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare amici come Gianni Gaspari e Antimo Amore, che per me sono dei riferimenti, con i quali spesso mi confronto sulle scelte da fare».
Nel 2017 ha ricevuto dall’Associazione Editori Abruzzesi il Premio per la promozione e diffusione della cultura e dell’editoria abruzzese. Nel 2018 ha ricevuto il “Premio Annino Di Giacinto” per il giornalismo… per fermarci ai più recenti…
«Due grandi soddisfazioni che testimoniano come la cultura, specialmente sui media, possa essere un settore trainante e – quel che più conta – un metodo di ascolto e dialogo con il territorio, al di là – lo ripeto – dei localismi inutili e dei campanilismi vizzi, che poi sono alibi per respingere un confronto con la contemporaneità».
Cosa le piace di più del suo lavoro?
«Impaginare i pezzi, titolarli, scegliere le foto. Nulla insegna tanto di questo mestiere come mettere in pagina un articolo. È una delle cose più divertenti del mondo».
Prima che giornalista lei è critico letterario…
«Dico sempre che non sono un giornalista, ma uno che lavora in un giornale. E non so fino a che punto sia una battuta. Dicono che sia un critico letterario e non nego che la cosa mi fa piacere, perché quando ho cominciato a scrivere l’ho fatto firmando recensioni. La letteratura è il mio specifico, ma preferisco considerarmi un recensore. Mi sono abituato a pensare che si è critici non se ci si atteggia per tali o se tali – un po’ pateticamente – ci si definisce, ma se in quello che si scrive c’è un pensiero critico. Se chi ti legge dice che sei un critico, sei un critico. Se te lo dici da te, mi sa che sei in crisi. L’importante sono i concetti racchiusi in una recensione. Citavo Gianni Gaspari: ecco, considero le sue recensioni cinematografiche un esempio assolutamente alto di critica. Del resto non c’è una sola figura di critico. Un’altra cosa importante è questa: professionalmente, si è quello che si fa per lavoro, non per hobby. Questa è una discriminante che tendo a tenere presente».
Restiamo al suo lavoro critico. Di recente ha recuperato “Tempo grande”, un romanzo di Gian Luigi Piccioli uscito nel 1984 per Rusconi.
«È un lavoro a cui tengo moltissimo. Ho conosciuto e sono stato amico di Gian Luigi Piccioli, morto nel 2013. Era nato nel ’32 a Firenze, ma era abruzzese, anche se andò a vivere a Roma molto presto. Nella capitale ha trascorso tutta la vita, ma in Abruzzo tornava sempre. Abbiamo fatto un libro intervista insieme, “Tempi simultanei”, pubblicato da Galaad Edizioni l’anno prima che morisse. È uno scrittore da riscoprire, ha pubblicato con gli editori più qualificati, ero uno sperimentatore. “Tempo grande”, del quale ho curato la nuova edizione sempre per Galaad, è uscito nel 1984 e racconta l’Italia iper televisiva di oggi con trentacinque anni di anticipo. Non è solo questo, però, non è solo un romanzo anticipatorio o profetico, come pure è stato giustamente detto. È un romanzo sui rapporti umani, sui conflitti tra media, sull’amore, sul corpo, sulla mutazione antropologica pasoliniana. Segretamente, è anche un romanzo sulla natura. Ma soprattutto quella che Piccioli ha raccontato in “Tempo grande” è una storia di oltranze e di crisi affidata a una lingua sulla quale non s’è posato nessun velo di polvere. C’è letteratura dove c’è stile».