testo di Ivan Masciovecchio.
Procedendo sulla strada che dalla costa adriatica conduce sul versante orientale del Gran Sasso d’Italia, Farindola sembra non arrivare mai. Ma è proprio qui, tra le pieghe tortuose di queste curve a gomito e la vastità di prati a perdita d’occhio della campagna pescarese che prende forma e sostanza un formaggio pecorino dal gusto unico, divenuto nel tempo il simbolo gastronomico di un’intera comunità.
Conosciuto ed apprezzato già in epoca romana con il generico nome di formaggio dei Vestini, il Pecorino di Farindola acquisisce nome proprio ed esplicita cittadinanza nei primi anni del secolo scorso, quando il paese vantava la più alta concentrazione di ovini della zona, oltre ad una vasta disponibilità di pascoli rigogliosi. Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, il progressivo spopolamento dell’area ne ridusse drasticamente la produzione, determinandone il crollo del valore commerciale e la sostanziale scomparsa.
Meritoriamente, sul finire degli anni Novanta, si è avviato un lento processo di recupero e valorizzazione che, grazie anche all’interessamento ed all’opera del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dell’allora Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo (ARSSA) e dell’associazione Slow Food, nei primi anni del nuovo millennio ha portato alla costituzione del Consorzio di Tutela ed all’apertura in pieno centro a Farindola della Casera consortile.
Oltre alla località dalla quale prende il nome – nominata Città del Formaggio nel 2023 dall’Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggio (ONAF) –, l’areale di produzione del Pecorino di Farindola è diffuso tra le province di Pescara e Teramo, comprendendo completamente anche il territorio dei comuni di Montebello di Bertona (PE), Villa Celiera (PE), Carpineto della Nora (PE), Arsita (TE) e, limitatamente ad alcune frazioni e contrade, quello di Bisenti (TE), Castelli (TE) e Penne (PE).
Proseguendo nell’opera di promozione di questa vera e propria eccellenza dell’agroalimentare abruzzese, sempre più conosciuta ed apprezzata ben oltre i confini regionali, il consorzio di produttori in collaborazione con la Condotta Vestina di Slow Food ha organizzato per il prossimo sabato 7 settembre una giornata dedicata alle Fattorie Aperte durante la quale, esclusivamente su prenotazione, si potranno effettuare visite ai caseifici e alla Casera comunale con degustazioni guidate di formaggio accompagnate da prodotti tipici e vini locali. Inoltre, nei ristoranti convenzionati della zona, saranno proposti a pranzo e cena menù tematici a base di Pecorino di Farindola. Cliccando QUI è possibile scaricare il programma completo con l’elenco delle aziende agricole e dei locali coinvolti suddivisi per località, e dei recapiti telefonici da contattare per prenotare la vostra esperienza.
Tutelato anche dal marchio dei Presìdi Slow Food, il Pecorino di Farindola si caratterizza per essere probabilmente l’unico formaggio al mondo, sicuramente il solo in Italia, ad utilizzare il caglio liquido di suino. Il disciplinare di produzione stilato all’epoca grazie al contributo del medico veterinario Ugo Ciavattella – già sindaco del paese e primo presidente del consorzio attualmente guidato da Annalisa Marzola – ne regolamenta tutte le fasi di lavorazione, a cominciare dalla materia prima, ovvero il latte. Che può derivare solo da pecore allevate stabilmente per tutto l’anno all’interno dell’area tipica di produzione, di razze comunque diverse, compresi gli incroci tra quelle autoctone come la Pagliarola Appenninica ed altre da latte o carne, purché nutrite solo con alimenti della tradizione locale, vale a dire pascolo, fieno, paglia, mais, orzo, grano, fave, crusca di grano, avena. Tassativamente vietati gli alimenti insilati e le materie prime derivanti da lavorazione industriale di cereali e semi oleosi, così come prodotti provenienti da organismi geneticamente modificati.
Una volta raccolto, il latte viene opportunamente filtrato e portato ad una temperatura di poco superiore ai 30 gradi, mescolandolo continuamente. È qui, in questa fase della lavorazione, che entra in gioco il caglio di maiale che permette al latte di coagulare e di formare la cosiddetta cagliata, rotta la quale la massa viene posta in fiscelle o canestrelli dove viene salata a giorni alterni su entrambe le facce e fatta riposare. Estratta dalla fiscella, la forma viene posta su assi di legno dove inizia un processo di stagionatura che può durare da un minimo di 60 giorni fino a due-tre anni, durante il quale verrà unta periodicamente con olio extravergine di oliva ed eventuale aggiunta di aceto o succo di pomodoro bollito al fine di evitare la formazione di muffe e, allo stesso tempo, conferire alla pasta morbidezza ed aromi.
Quello che, però, rende davvero unico il Pecorino di Farindola è la sua straordinaria capacità di saper raccontare un territorio, la sua storia millenaria giunta fino ai nostri giorni, i gesti semplici ed i piccoli segreti di una lavorazione lenta e meticolosa, riservata in origine esclusivamente alle mani di donne capaci di trasmettere alla forma di cacio il proprio sapere antico, tanto da imprimere il proprio nome sull’etichetta del prodotto finito. Paolina, Domenica, Ioletta e le altre; sono loro le storiche artefici di questa meraviglia, le madri di questo autentico ambasciatore del gusto. Ed è a loro che dobbiamo dire grazie se ancora oggi il miracolo si rinnova.