Testo a cura di Ivan Masciovecchio
In occasione della conferenza di presentazione delle attività di recupero e tutela della razza suina autoctona abruzzese, organizzata per il prossimo sabato 25 gennaio 2014 presso l’auditorium Petruzzi del Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara (clicca sulla locandina a destra per vedere il programma completo), riproponiamo l’intervista realizzata con il dott. Simone Angelucci – presidente dell’Associazione per la Tutela del maiale nero d’Abruzzo – nella fase di avvio del progetto e pubblicata sul numero 23 (Gennaio/Marzo 2012) della rivista Tesori d’Abruzzo.
«L’Abruzzo ha un bisogno enorme di ritrovare la propria identità – afferma Angelucci – sia alimentare sia, soprattutto, culturale, partendo da coltivazioni e allevamenti espressione di quel rapporto ‘sano’ tra l’uomo e la terra che i nostri padri ci hanno sempre insegnato ma che nel tempo abbiamo completamente rimosso, anche a causa di decenni di agricoltura industriale che ha reso non più competitivi i nostri piccoli (e sostenibili) sistemi agro zootecnici di qualità, investiti attualmente da una crisi profonda».
Quali sono gli obiettivi che l’Associazione si prefigge? E quali saranno i passi successivi dopo la fase di avviamento?
Favorire il recupero, la valorizzazione e la tutela della razza suina ‘Maiale Nero d’Abruzzo’ mediante attività di promozione e divulgazione culturale, nonché tramite allevamento, selezione, trasformazione, vendita e somministrazione di prodotti derivati. In futuro intraprenderemo iniziative di promozione della razza chiedendone il riconoscimento ufficiale agli enti preposti; inoltre saranno elaborati appositi disciplinari di produzione che definiscano i requisiti produttivi che, nelle diverse fasi della filiera, dovranno essere rispettati per il riconoscimento della denominazione del marchio ‘Maiale Nero d’Abruzzo’.
Quanti sono gli allevamenti coinvolti?
Oltre ad un’azienda di Caramanico Terme coinvolta fin dal 2004 nel processo di recupero mediante un’attenta e complessa selezione della razza, oggi nuovi allevamenti sono nati nel territorio dei comuni di Bussi e Catignano in provincia di Pescara, Campotosto e Pescomaggiore in provincia dell’Aquila, Torrevecchia Teatina, Guardiagrele e Miglianico in provincia di Chieti, tutti prevalentemente gestiti con il sistema ‘open air’.
Vale a dire?
Con un sistema di allevamento all’aperto in cui i maiali possono muoversi liberamente per tutto il giorno, avendo la possibilità di bagnarsi per ore in pozze naturali o di soddisfare il loro istinto grufolando nel querceto.
È possibile quantificare il numero di maiali neri presenti nella nostra regione?
Premettendo che, storicamente, si hanno notizie di un vero e proprio albo di razza attivo fin dall’inizio del secolo scorso e che in alcuni documenti datati 1926 vengono indicati oltre 128mila esemplari, da un punto di vista zootecnico attualmente in Abruzzo sono attivi oltre trenta scrofe e una decina di verri. Come detto, i primi riproduttori sono stati selezionati a Caramanico Terme partendo da tipi genetici autoctoni provenienti da alto Molise, Sub Appennino Dauno, Gargano. Ultimamente sono stati inseriti riproduttori dall’area reatina con simili caratteristiche. Questa selezione ha permesso di eguagliare gli standard della razza di inizio secolo, con evidenti aspetti migliorativi ma senza perderne la rusticità, esaltandone inoltre le caratteristiche organolettiche e le tipicità del lardo.
In cosa consistono queste tipicità?
Il maiale nero non è stato selezionato per essere un suino magro, come invece oggi richiesto dal mercato. La presenza di grasso, sia di deposito sul dorso, sia intramuscolare nelle carni (la cosiddetta marezzatura), è la vera differenza che consente di apprezzare poi la diversità anche organolettica delle carni, più tenere e saporite nei maiali macellati a peso tradizionale (160-180 chili) proprio perché più ricche di grasso.
Perché è importante tornare ad allevare maiali neri?
Da un punto di vista economico, certamente il suo allevamento presenta degli elementi di svantaggio, come ad esempio una minore prolificità (nella nostra esperienza abbiamo avuto un massimo di sette maialini per scrofa, a fronte dei dodici/tredici della suinicoltura industriale), la necessità di tempi di crescita per l’ingrasso maggiori di circa il 20-30%, tempi di svezzamento più lunghi rispetto a quelli industriali, scrofe che non sempre riescono ad essere fecondate subito dopo questo periodo. Tuttavia, oltre che per la bontà delle proprie carni e per un discorso, diciamo, culturale, allevare maiali neri è sostenibile anche da un punto di vista ecologico ed ambientale, con gli animali che, grazie alla vita all’aria aperta, presentano un’insorgenza praticamente nulla di alcune malattie e con l’uso di farmaci previsto solo in casi davvero eccezionali.