testo e foto di Ivan Masciovecchio.
A Milano si sono appena spenti i riflettori (e i fornelli) sulla decima ed affollatissima edizione di Identità Golose, il primo (e finora unico) congresso italiano sulla cucina e sulla pasticceria d’autore, ideato nel lontano gennaio 2005 dal giornalista Paolo Marchi sulla scia di quanto avveniva nei Paesi Baschi già da qualche anno. Tema del decennale: una golosa intelligenza vale a dire la capacità dello chef moderno di saper offrire menu che tendano sempre più al benessere psicofisico del cliente, salvaguardandone la salute e concentrandosi non solo sui sapori ma anche sulla leggerezza dei piatti proposti e sulla riscoperta di nuove materie prime, reinventandosi e rinnovandosi quotidianamente. Ospitato come di consueto negli spazi di MiCo – Milano Congressi di via Gattamelata, il convegno milanese ha visto la partecipazione dei più grandi chef italiani ed internazionali, da Massimo Bottura al peruviano Gastón Acurio, dai fratelli Alajmo allo spagnolo Quique Dacosta.
In questo contesto, anche l’Abruzzo nel tempo ha saputo ritagliarsi uno spicchio di visibilità, risultando addirittura regione ospite nell’edizione numero quattro. In quell’occasione fu presentato il bel libro fotografico Sapore d’Abruzzo realizzato dallo stesso Marchi con le foto di Ken Griffith, alla presenza, tra gli altri, di veri e propri ambasciatori del gusto come il pasticcere Fabrizio Camplone e gli chef Angela e Peppino Tinari (i quali tennero una relazione sull’agnello) e Marcello Spadone (sulla magnificazione degli animali da cortile). Con loro anche una giovane promessa che già stava facendo parlare di sé e che in seguito avrebbe regalato alla nostra regione prestigio e riconoscimenti arrivando a conquistare con il suo ristorante le tre stelle Michelin. Era Niko Romito che da allora – unico e valido rappresentante abruzzese – sarà sempre presente a tutte le edizioni seguenti, capace di conquistare con le sue lezioni una platea sempre più folta di colleghi ed addetti ai lavori.
Per sua stessa ammissione più emozionato ed agitato della prima volta, anche quest’anno ha deliziato il numeroso pubblico accorso ad ascoltarlo (a sorpresa erano presenti anche i suoi allievi della scuola di formazione) proponendo una relazione sul valore essenziale della materia nella sua idea di cucina.
«Sicuramente la cucina è cultura – ha esordito –; è ricerca, memoria, studio, conoscenza della storia e delle tecniche, ma anche del territorio e di tutto ciò che ci circonda. Poi c’è la sensibilità, che racchiude un po’ tutti questi concetti ed è quella che fa la differenza tra un cuoco ed un altro perché ognuno di noi ha un proprio background, un vissuto differente. Infine c’è il talento che però va curato quotidianamente». Proseguendo nel suo intervento a braccio, ha affermato la centralità dell’innovazione nella cucina moderna rispetto allo stucchevole tema del ricordo, rievocando l’ultima scena del film cult Ratatouille.
«Quando il critico mangia il piatto preparato appositamente per lui, nella sua testa partono dei flashback che lo riportano a quand’era bambino, ai sapori della cucina della mamma. Uscendo dal cinema mi sono detto: ma se viviamo solo di ricordi dove inizia allora l’innovazione, soprattutto in un territorio come l’Italia che ha un bacino gastronomico enorme ed una vastissima cultura materiale? La mia innovazione, quindi, grazie alla tecnica, all’esperienza e alla creatività maturate nel corso del tempo, consiste nel riuscire a raccontare un piatto attraverso la centralità del gusto e la riconoscibilità degli ingredienti. Per fare questo, però, c’è bisogno alle spalle di un organizzazione incredibile composta da un sistema complesso di persone, di produttori, di ricerca, di selezione delle migliori materie prime. Tutto ciò ha inevitabilmente un costo che con una parola forte potrei definire lusso, ma che è quello che poi ci fa crescere e ci fa conoscere nel mondo. E’ l’eccellenza infatti che promuove un territorio e ricordate che senza l’alta ristorazione non esisterebbe il fenomeno dei gastro-bistrot, nelle cucine dei quali si applicano gli studi, le ricerche e le tecniche affinate nel tempo nei ristoranti di altissimo livello».
Ha concluso il suo lungo ed appassionato monologo descrivendo lo stato dell’arte del suo percorso personale. «Oggi la cucina deve essere silenzio, il cuoco deve fare un passo indietro e lasciare che il piatto – da solo – esprima la sintesi del pensiero di chi l’ha preparato. Per questo cerco di ridurre all’essenza la materia prima offrendo grandi contenuti ma mantenendo un linguaggio sempre chiaro, addirittura elementare. Prediligo un approccio facile da parte del cliente perché non dimentichiamo che la grande cucina italiana è nata dalla semplicità e non dalle sovrastrutture».
Consapevole di trovarsi pur sempre sul palco di un congresso di cucina, a questo punto – supportato da quattro brevi filmati – ha dato una dimostrazione pratica di ciò che era stato appena teorizzato, partendo da quattro macro basi (scampo, carciofo, spigola, mandorla) per giungere alla declinazione di undici piatti straordinari nella loro semplice complessità. Al termine, consegnando il premio per il piatto dell’anno (animelle, panna, limone e sale), così Paolo Marchi lo ha salutato: «Nel quadretto che diamo quest’anno c’è scritto: Cercando l’impossibile l’uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un solo passo. E’ di Michail Bakunin, padre dell’anarchia. Ecco io credo che se tu non avessi avuto coraggio e non avessi mai sognato l’impossibile non avresti aperto il Reale o preso in mano l’eredità di tuo padre e tanto meno saresti rimasto in quel di Castel di Sangro. Quindi il premio te lo meriti tutto».
Variamente rappresentato in sala grazie alla presenza sparsa di chef ed addetti ai lavori – tra gli altri, gli aquilani Antonello e Nadia Moscardi del ristorante Elodia, William Zonfa della Magione Papale e Marzia Buzzanca di Percorsi di Gusto, Nicola Fossaceca del Metrò di San Salvo (CH), il presidente dell’Associazione Provinciale Cuochi di Pescara Lorenzo Pace e Valentina Di Camillo dell’Associazione Le Donne del Vino, – l’Abruzzo ha chiuso l’edizione numero dieci di Identità Golose portando a casa anche altri due riconoscimenti, come il premio Identità donna attribuito ad Emanuela Tommolini del ristorante Esprì di Colonnella – esperienza nata a seguito della vittoria di un bando della Provincia di Teramo ed ora affermatasi nella proposta di una cucina naturale che sapientemente dosa elementi di mare e montagna per una esaltazione totale del territorio abruzzese marchigiano –; nonché il pubblico elogio dello chef Davide Oldani della bontà dello zafferano dell’Aquila, aggiungendo subito dopo che però lui utilizza quello prodotto da un suo amico nei dintorni di Milano. Contento lui…