Identificato principalmente da schietti sapori di terra, a cominciare dagli irrinunciabili arrosticini di pecora, l’Abruzzo gastronomico si caratterizza anche per una genuina cucina marinara in grado di offrire un’ampia scelta di piatti di altissima qualità
di Ivan Masciovecchio
Che si tratti di alici, merluzzi, polpi, seppie, ma anche sardine, sgombri, triglie o scorfani, oppure sugosi guazzetti di cozze e vongole, è la singolare squisitezza dell’ottimo pesce fresco dell’Adriatico a fare da trait d’union alle molteplici e variegate proposte culinarie che, specialmente durante il periodo estivo, arricchiscono di piacere le nostre tavole.
Percorrendo i circa 120 chilometri di costa abruzzese da sud verso nord, il panorama che si propone al nostro sguardo è di quelli che non si dimenticano, passando dalle ciottolose e selvagge insenature della Costa dei Trabocchi della provincia chietina fino al sabbioso ed attrezzato litorale pescarese e teramano.
A Vasto (Ch), punto di partenza del nostro itinerario, l’imponente Palazzo D’Avalos guarda tutti dall’alto in basso. Benché diversi comuni se ne contendano il primato e l’unicità della preparazione, al di là di pur minime differenze esecutive e di sterili guerre di campanile, il brodetto alla vastese resta sicuramente la pietanza marinara che più di altre si è caratterizzata per il suo profondo valore identitario, rivelandosi un interessante veicolo promozionale in grado di attrarre ogni anno sulla costa d’oro migliaia di turisti ed amanti della buona tavola, grazie anche a manifestazioni come Brodetto & Contorni, organizzata in estate tra i vicoli e le piazze della cittadina istoniense dalla locale condotta Slow Food.
A cantarci le lodi de lu vrudatte, come viene chiamato nel dialetto locale, è Nicolino Di Renzo, patron e chef dell’Hostaria del Pavone. «Forse non tutti sanno che in origine nasce come piatto in bianco; rappresentava il pranzo degli equipaggi delle barche, fatto direttamente a bordo con gli scarti invenduti del pescato giornaliero; oggi, senza dubbio, esprime l’identità della nostra comunità e del nostro territorio, raccontando dell’incontro e della contaminazione tra i frutti dell’orto e quelli del mare, tra il pomodoro mezzotempo tipico del vastese ed il pesce dell’Adriatico».
La preparazione ha una sua liturgia da rispettare. «Viene cucinato nel caratteristico coccio di terracotta – la tijella – con acqua, olio extravergine d’oliva, peperone verde dolce, aglio, prezzemolo e ovviamente abbondante pomodoro. I pesci vanno inseriti interi, uno alla volta, a seconda della consistenza. Se ne contano almeno sei-sette varietà diverse: seppioline, noce, gallinella, merluzzo, piccola razza, tracina (grignoletto), triglia, cicala di mare, scorfano. Si copre tutto con il coperchio e dopo una cottura lenta di venti/venticinque minuti si porta in tavola». Affinché il risultato sia eccellente ed al fine di evitarne la rottura, il pesce andrebbe mescolato senza l’utilizzo di mestoli o cucchiai, roteando dai manici la pignatta sul fuoco. L’aggiunta finale di peperoncino piccante e le croccanti bruschette di pane casereccio facoltativamente strusciate d’aglio, da intingere nel succulento guazzetto, concludono il rito dando il via al godimento.
Risalendo verso nord, la statale 16 Adriatica si caratterizza soprattutto per la straordinaria presenza dei trabocchi che ad ogni curva si rivelano con il loro suggestivo intreccio di funi e pali di legno.
Arrivati a San Vito Chietino (Ch), dal belvedere del paese alto la bellezza del colpo d’occhio toglie letteralmente il fiato. Giù alla Marina, invece, è Carlo De Sanctis a dispensare delizie nello storico locale di famiglia, L’Angolino da Filippo, utilizzando quasi esclusivamente pesce fresco dell’Adriatico, reperito quotidianamente nei mercati e nelle pescherie della zona e grazie anche al contributo di piccoli pescatori di fiducia. «Oltre al brodetto alla sanvitese – ci racconta – sono le minestre storiche di San Vito come i trinciatelli e i tacconcini al sugo di pesce a descrivere al meglio il nostro territorio. I tacconcini da noi proposti prevedono una pasta simile ai maltagliati fatta con acqua e farina accompagnata con un sugo rosso di pescatrice, scampi e crostacei, fatto bollire tipo ragù anche dopo l’aggiunta della pasta stessa, in modo da tirar fuori tutto il sapore dei pesci». Indirizzato da qualche anno verso un utilizzo sempre più diffuso di pesce azzurro, sia per la sua insita bontà che per il piacere di recuperare specie ormai dimenticate come lo sgombro, le alici, il pesce spatola, l’hamburger di pesce azzurro con maionese di vongole rientra sicuramente tra le sue proposte più particolari, quelle che insieme allo splendore del paesaggio circostante fanno di questo tratto di costa un luogo unico ed inimitabile.
Superiamo di slancio il breve tratto pescarese della riviera adriatica con destinazione Pineto (Te) primo approdo teramano del nostro tour al sapore di mare. Qui ci attende Claudio Di Remigio, chef de La Conchiglia d’oro e vero e proprio cultore della stagionalità delle materie prime, a cominciare dal pescato giornaliero per finire alle verdure che l’accompagnano. La leggerezza è la stella polare di una cucina semplice ed elegantemente rielaborata, rappresentata magistralmente dal risotto alla fiamma. «Non è il classico risotto alla marinara – ci tiene a precisare – dove si sentono le seppie, la sapidità delle vongole sgusciate, i calamari, ma viene realizzato utilizzando solo gli scampi. È un piatto molto delicato dove oltre al profumo delle erbe d’Abruzzo dato dall’aggiunta del liquore Centerba in cui viene sfumato, si avverte il retrogusto dolciastro dello scampo». Oppure dagli gnocchetti fatti in casa con broccoli e mazzancolle. «Per estrarre il sapore dalle teste delle mazzancolle facciamo una piccola bisque, una riduzione, facendole tostare con sedano, cipolla e carota, aggiungendo un po’ di brodo, del pomodoro e lasciando sfumare il composto ottenuto. Di seguito, saltiamo in padella le code delle mazzancolle, inseriamo la salsa così preparata e tiriamo gli gnocchi, aggiungendo infine i broccoletti».
Un pesce sempre fresco e di esclusiva provenienza locale viene garantito anche nell’offerta di secondi piatti semplici e dagli intingoli poco elaborati. «Sfilettando e lavorando il pesce a tranci o in guazzetto – conclude Claudio – diamo alla gente la possibilità di mangiare anche pesci di pezzature notevoli, come un rombo chiodato, un san Pietro, una spigola di mare, proponendoli al forno con appena un sottile velo di patate oppure, quando è periodo, facendoli mollicati e scottati in piastra su una base di carciofi».
Penultima tappa del nostro viaggio, Giulianova (Te) rappresenta la piccola patria di Andrea Beccaceci, terza generazione alla guida dello storico, omonimo locale di famiglia. Cucina prettamente di territorio, con oltre il 90% del pescato proveniente dai mercati dislocati tra Civitanova Marche e Termoli, da lui ci facciamo raccontare quello che nel tempo è diventato un patrimonio della stessa cittadina rivierasca, superando di fatto i confini del ristorante per essere riproposto privatamente dalle massaie giuliesi nelle proprie abitazioni. «Ideato da mio padre a metà degli anni ‘60, lo zampone di mare o calamaro ripieno di scampi è un piatto elementare nella sua realizzazione ma estremamente innovativo per l’epoca in cui è stato ideato. Semplicemente, si riempiono i calamari con scampi sgusciati, pan grattato, aglio e prezzemolo, saltandoli successivamente in padella con un filo d’olio e del vino bianco. È una preparazione che è sopravvissuta a chi l’ha ideata e questo è abbastanza raro nella cucina italiana».
Un altro esempio di genuinità che si fa gusto in cucina è dato dallo scenografico trancio di ricciola cotto su pietra di sale rosa himalayano servita con una misticanza di finocchio scottato anch’esso sulla pietra e con una leggera emulsione di olio e pepe nero. «Ho adottato questo metodo di cottura circa tre anni fa a seguito di un regalo di un mio amico ristoratore americano – continua Andrea – . Dopo averla tenuta mezzora nel forno a 200° è pronta per prepararci di tutto, cedendo alle pietanze un retrogusto salino e dolce allo stesso tempo. Credo che la consistenza della ricciola si presti meglio, ma vanno benissimo anche tutti gli altri pesci a carne bianca come il tonno, la rana pescatrice, il rombo, nonché gli ortaggi ed anche gli scampi, che però evitiamo di fare davanti ai clienti a causa dell’odore troppo pungente che si diffonderebbe in sala».
È in prossimità della spiaggia di Alba Adriatica (Te) che ha termine questa immersione tra i sapori di mare della cucina abruzzese. Qui, negli spazi del ristorante Mediterraneo, da ventidue anni Domenica Vagnarelli dà vita alle sue creature culinarie sorretta esclusivamente dalla passione e dalle ragioni del proprio cuore. Emozione e divertimento sono i binari lungo i quali far scorrere una visione nuova e personalissima, trasmessa ai suoi piatti con tocco e sensibilità di donna. «Ma tutto parte dalla tradizione – ci confessa – perché senza una buona conoscenza dei fondamentali non si può procedere a nessun tipo di rielaborazione». Come nel caso dei caratteristici spaghetti lu peccate, la cui ricetta in origine prevede l’utilizzo di alici fresche, aglio, prezzemolo, pane grattugiato e peperoncino, qui invece «rivisitata usando un battuto di alici diliscate poste sotto sale e sottolio, pane croccante saltato in padella con aglio e olio e aromatizzato con del pepe di Sarawak, molto più delicato e gradevole nella sua nota piccante, escludendo quindi il peperoncino. È un piatto di cui vado molto orgogliosa». Nonostante la prevalenza della sua vena creativa, per lei la frittura di paranza resta uno dei punti più elevati della cucina marinara, una vera e propria cultura, di cui ci svela anche qualche segreto. «Il pesce deve essere asciutto e freddo; quindi prima di cominciare va sistemato dentro dei canovacci e messo in frigorifero. Uso solo farina granito di grano tenero, che è impalpabile al tatto e non è umida; infine, e qui qualcuno storcerà la bocca, io uso solo olio di semi di arachidi perché penso che l’olio extravergine di oliva abbia un carattere troppo forte che tende a coprire il sapore delicato della frittura. Anche l’asciugatura è importante; utilizzo tre tipi di fogli: carta paglia, carta tnt (tessuto non tessuto) bianca e carta assorbente con struttura a nido d’ape. Per quanto riguarda la cottura, solo in padella, cominciando dal pesce più tenero e mettendo per ultime le triglie perché altrimenti arrossiscono l’olio».
Infine, prima di abbandonarsi a qualsiasi altra gustosa considerazione, è opportuno ricordare che a causa dell’opera predatoria dell’uomo e delle sue pratiche di pesca non più sostenibili, purtroppo i nostri mari si vanno progressivamente spopolando. Un consumo più consapevole, quindi, magari orientato anche e soprattutto verso le cosiddette specie neglette, dimenticate e meno ricercate, ma altrettanto, se non più saporite di quelle comunemente usate, rappresenterebbe l’avvio di una pratica virtuosa di cui il mare nostrum non potrebbe che esserci infinitamente grato.