Testo di Greta Massimi Foto di Adriano De Ascentiis, Davide Ferretti, Giancarlo Malandra
Emblemi affascinanti, di una delle forme più caratterizzanti del paesaggio adriatico, nella Riserva Naturale Regionale dei calanchi di Atri
La Riserva venne istituita dalla Regione Abruzzo nel 1995, per poi diventare Oasi WWF nel ’99. Essa si estende per una superficie di circa 380 ettari, situata tra il fondovalle del Torrente Piomba e il Colle della Giustizia, ed interessa anche i versanti collinari a ridosso della costa dell’Area Marina Protetta “Torre del Cerrano”. I calanchi atriani sono forme di erosione accelerata detta “a solchi”, costituite da una elevata pendenza, caratterizzata da un insieme di ripide vallecole e versanti scoscesi. L’agente erosivo predominante sono le precipitazioni che tendono ad erodere sempre più le litologie (ovvero le rocce che costituiscono i calanchi), composte principalmente da argilla e limo, e da una piccola percentuale di sabbia.
L’elevata pendenza riduce l’infiltrazione nel sottosuolo, favorendo lo scorrimento dell’acqua sulla superficie e quindi la nascita di un fitto reticolo di drenaggio che modella il versante. Questi “substrati” risentono dei cambiamenti climatici stagionali. In inverno le argille si rigonfiano, aumentando di volume, a causa delle abbondanti precipitazioni, mentre in estate il terreno, in seguito alle rare precipitazioni e alle temperature elevate, diminuisce il proprio volume, portando alla formazione delle classiche strutture da disseccamento chiamate “mud crack”.
Ciò caratterizza il paesaggio dei calanchi del nostro Appennino e dei famosi Badlands del Dakota americano. La storia geologica del nostro Abruzzo ci racconta che due milioni di anni fa il Mare Adriatico si estendeva fino ai piedi della catena del Gran Sasso in quanto non era ancora nata la fascia collinare. Man mano che la formazione della catena appenninica proseguiva, la linea di costa raggiungeva, meno di un milione di anni fa, Atri che solo in seguito acquisì le quote attuali. I conglomerati che si formarono per via del trasporto dei ciottoli e dei sedimenti portati dai fiumi, instaurarono fenomeni erosivi che contribuirono a creare valli profonde e gli odierni e caratteristici colli di Atri.
Ed è per questo che nell’attuale posizione dei calanchi (corrispondente all’antica linea di spiaggia), i sedimenti hanno inglobato e conservato, in perfette condizioni, invertebrati marini e giacimenti di molteplici specie di invertebrati fossili, tipici di acque poco profonde. Tra i più noti, abbiamo gli appartenenti al genere dei Murex, Pecten, Chlamys. I calanchi, in quanto riserva naturale, sono anche lo scenario di una splendida flora e fauna territoriale, la cui salvaguardia è fondamentale per la sopravvivenza delle specie che la abitano. Un habitat ricco di laghetti, macchie boschive, campi coltivati che si alternano alle rupi calanchive.
Qui vivono piccoli passeriformi come la Sterpazzola e l’Occhiocotto, rettili e tanti mammiferi selvatici e splendidi predatori. Rapaci diurni e notturni, dalla poiana al barbagianni, sorvegliano i maestosi calanchi e animano i rifugi costruitisi tra alberi e antiche case. Cacciatrice solitaria perlustra le gallerie del territorio la volpe, mentre il tasso e l’istrice popolano il territorio e i pertugi più inaccessibili. Alle increspature algide e acute dei versanti dei calanchi, i cui solchi sono ancor più accentuati dalla poca vegetazione, fanno da contraltare i colori delle splendide farfalle che popolano la Riserva, in cui è possibile osservare i loro vari stadi di sviluppo. Ma non solo.
La natura dimostra sempre capacità di adattamento anche nelle condizioni più ostili, ed è così che possiamo ammirare splendide piante che sono riuscite ad adeguarsi e distribuirsi nelle tre aree cui può suddividersi un calanco. Lungo i ripidi “pendii” fortemente soleggiati, ampio spazio trovano le graminacee, quali la Tamerice, la Gramigna litorale o la Grattalingua. Sui “margini”, ovvero la parte più alta del calanco, troviamo piccole macchie di boschi termofili ove fa da padrona la roverella. Ma anche la liquirizia, il Carciofo selvatico, ed altre specie arbustive come la Ginestra, la Rosa canina non fanno mancare la loro presenza. Sul “fondovalle”, negli impluvi dei bacini calanchiferi, si scorge il Trifoglio irsuto.
All’interno della riserva si trovano molteplici specie arboree e arbustive, tra le più note la Sanguinella, il Pioppo nero e bianco. Sono presenti nel territorio anche aree coltivate (seppur in modo minore rispetto al passato), dove possiamo trovare cereali e nelle zone più idonee anche uliveti. Ricordiamo che l’area della riserva, per l’elevato interesse floristico, è stata inserita dalla Società Botanica Italiana tra i “biotopi” meritevoli di conservazione. Sono 342 le specie segnalate. La Riserva Naturale Regionale dei calanchi di Atri riveste una grande importanza dal punto di vista ambientale e didattico. Meta di turisti e oggetto di studio per i geologi e i professionisti del settore. Un ambiente unico da tutelare, dal momento che la natura ha potuto seguire il suo corso, portando all’attuale conformazione del territorio, ad oggi ancora sottoposto a mutamenti. Si possono studiare i calanchi, i giacimenti fossiliferi, la macchia mediterranea con la sua varietà di fauna e di flora. In località Colle della Giustizia è presente il Centro Visite del Parco che divulga agli interessati le bellezze che il territorio offre. Tra le principali attività svolte vi sono conservazione della natura, ricerca scientifica, educazione ambientale e turismo con escursioni sul territorio.
Dentro il Centro Visite vi è anche un piccolo Museo Plio-Pleistocenico ove si possono mirare i giacimenti di molteplici specie di invertebrati fossili ritrovati nell’area. Ricordiamo inoltre che nel 1896 venne scoperta la Necropoli di Colle della Giustizia con tombe risalenti perlopiù ad origine italica. Leggenda, fede e storia regnano su questo territorio, dando luogo a sincretismi originali. E così, da un racconto dal gusto tipicamente cortese che vorrebbe racchiudere in un’unica leggenda (che andrebbe approfondita), il Beato Nicola e Santa Reparata, possono distinguersi due tradizioni che si riferiscono alle figure, tra le più rappresentative di Atri.
Ricordiamo che nella tradizione, soprattutto cattolica, il calanco è sempre stato visto come una forma “non naturale”, un terreno inospitale, popolato da entità demoniache. Ma proprio per le sue forme risorgenti, sottoposte al cambiamento continuo, da contraltare, nella devozione popolare pagana, tali luoghi vengono assurti a emblema della capacità rigeneratrice della natura e all’energia della rinascita. Le “Grotte” atriane, site sotto il centro abitato di Atri, realizzate in epoca romana probabilmente con funzione di “cisterna” per la raccolta delle acque filtranti e tuttora accessibili al pubblico, sono legate alla figura di Santa Reparata. Leggenda vuole che le grotte, avendo cinque entrate e cinque uscite, siano l’estensione della mano della Santa che, durante un devastante terremoto, tenne fra le sue mani la città, impedendole di essere inghiottita. Cinque cavità corrispondenti alle impronte di Reparata come vuole anche una rappresentazione iconografica approfondita nei lavori del Professor Francesco Stoppa e come suggerisce la statua della Santa, portata in processione durante la festa patronale atriana, con in mano la “riproduzione della città” protetta.
Altra leggenda è quella del beato Nicola, figura che sarebbe legata alla storia dei cistercensi atriani, il cui corpo, verso la fine del XV secolo, venne trasferito nella Cattedrale dove gli fu eretto un altare, andato poi distrutto nel Novecento. Il suo culto non venne mai approvato dalla Chiesa, trattandosi di una beatificazione “vox populi”. Un’usanza popolare, ormai quasi scomparsa, ricordava il Beato Nicola la sera di ogni 14 agosto, in occasione del rito dell’apertura della Porta “Santa”, detta dagli atriani anche “la porta del perdono”, per la possibilità data ai fedeli di ricevere l’assoluzione dei peccati.
Alla sua apertura i sacristi toglievano il coperchio frontale del sarcofago del Beato e dalla posizione che assumeva il teschio, che si riteneva cambiare ogni anno, ne traevano gli auspici per l’andamento del raccolto. Leggenda vuole che si trattasse di un povero mendicante che morì sulla soglia della Porta Santa e che il suo corpo venne ritrovato all’interno della chiesa, senza che alcuno gli avesse aperto. A seguito di questo episodio un’ulteriore tradizione narra che le campane della Cattedrale si misero a suonare “da sole” per annunziare la sua morte. La popolazione resasi conto dell’accaduto, gridò al miracolo. Il sarcofago è attualmente collocato nel locale di collegamento tra la Cattedrale e il Museo Capitolare di Atri.
Un altro mistero circonda un monolite di circa un metro. Di pietra bianca, diversa dalle altre presenti nel luogo, leggenda vuole che sia la stessa dove venne martirizzato a Roma San Paolo Apostolo nel 67 d.C. In realtà è più verosimile che si tratti dei resti di un’ara precristiana in cui viaggiatori e mercanti si fermavano a ringraziare gli Dei sacrificando animali, come sembrano confermare alcuni segni rilevati sulla stessa. D’altronde questo territorio costituiva in età antica un importante centro viario e commerciale, ovvero l’Ager Adrianus. Con il Cristianesimo la “pietra” venne dedicata a San Paolo di Tarso legando ad essa episodi leggendari. Per i fedeli atriani la pietra rivestiva soprattutto una valenza taumaturgica nei confronti delle malformazioni ossee dei bambini che portati qui in processione, dopo una preghiera rituale e un lavaggio col vino e un cambio d’abito, tornavano ad Atri abbandonando i vecchi vestiti, seguendo un percorso diverso e conservando un pò di polvere della pietra. Tradizione rituale che perdura tuttora di notte. Al personale addetto della riserva capita spesso di ritrovare, all’interno del luogo in cui è contenuta la pietra, gli abiti “usati” di chi protrae questa ritualità. Dagli anni ’70 il monolite è conservato all’interno di una piccola chiesetta dedicata alla pietra di San Paolo di Tarso.