Testo di Ciccozzi Fulgenzio
A pochi chilometri dall’Aquila, di giovedì sera, nel centro di aggregazione di Santa Rufina, si sono uditi i cori intonare canti che hanno ravvivato il taciturno villaggio map. Le tende bianche e blu dei volontari di Verona hanno preso posto nell’attiguo piazzale-parcheggio e nell’aia del paese vecchio. Un tricolore pendeva all’apice del becco di una gru posta accanto a una casa in ricostruzione. Quale migliore occasione se non quella dell’adunata per rispolverare il “vecio” cappello di alpino e tornare a far visita alla terra per cui tanto hanno fatto nella primavera del 2009? Il sette, erano già lì, pronti, ognuno al suo posto. Insieme a Giovanni Sfarra e una sua compagna di studi della scuola di cinematografia, anche lei del nord, ci siamo introdotti nella tenda bianca che ospitava gli amici veneti. Tra sorrisi e scambi di battute facciamo conoscenza e sorseggiamo qualche bicchierino di grappa. E’ impensabile in queste occasioni poterne fare a meno. E’ un buon viatico che scioglie la lingua aiuta il dialogo. Prima di iniziare, il “poeta” Danilo Povan ci tiene a leggere una sua poesia, dedicata alla piccola comunità roiana, intitolata: “La campana de Santa Rufina”.
Il 6 aprile del 2009, il silenzio dei suoi rintocchi e la disperazione della gente chiamò a raccolta i volontari d’Italia per “per dare una mano e dispensare un sorriso”! E Dio sa quanto quelle persone ne avevano bisogno. Iniziamo dunque una proficua chiacchierata con Sergio Bonocore, Giuseppe Milnini, Soletti Pierluigi e Turco Silvano. Ognuno, con il suo carico di esperienze, ci parla del ruolo dei volontari. In questo Paese dove tutto, o quasi sembra funzionare con difficoltà, possiamo vantare un’associazione che si distingue per altruismo, abnegazione e organizzazione. Donne e uomini sempre pronti a lasciare i propri affetti per recarsi in un luogo, vicino o lontano che sia, non importa, dove c’è gente che soffre e una terra che piange. Partono con il loro carico di umanità e di professionalità. Ci spiegano che ogni evento calamitoso e ogni comunità richiede interventi che possono subire qualche variazione nella modalità di approccio con i locali. Per esempio, in Emilia, hanno dovuto far fronte alle diverse necessità dei residenti, la cui componente multietnica ha recato difficoltà nella gestione dei campi di accoglienza per motivi spesso riconducibili alle diverse realtà socio religiose. Questo non è accaduto qui a L’Aquila, se non in casi sporadici. I nostri amici Veronesi ci hanno fatto capire che non è sufficiente essere divorati dalla “febbre del soccorso” e dalla predisposizione all’altruismo per prestare sostegno. Non basta l’ardore e il momentaneo impegno di improvvisati “angeli” che, spesso, possono essere anche di intralcio alle operazioni di pronto intervento. Bensì, si reclama la presenza di persone preparate e organizzate che si muovono all’unisono per dare il loro efficace contributo nel prestare soccorso alle comunità colpite dalle calamità naturali le quali, troppo spesso, sono frutto di scellerate opere umane. Dopo il breve colloquio, che ha evidenziato il forte legame che ormai li lega ai roiani, ci concediamo e sentiamo il dovere di esprimere loro gratitudine. Riconoscenza che volentieri estendiamo ai volontari e gli alpini di ogni dove. Grazie, siete il volto bello e pulito di quest’Italia!