Testo e foto di Fulgenzio Ciccozzi
Nel giugno del 1967, monsignor Pastorelli Virgilio, per lungo tempo parroco di Lucoli, nella presentazione di un periodico culturale dell’epoca, sosteneva quanto segue: “…Lucoli, per tale settore (turismo), ben può competere, sul piano nazionale, con zone già sviluppate e da tempo rese ottimamente efficienti”. E proseguendo: “Una comunità, quella lucolana, che ha ereditato dal passato una sua civiltà umana e cristiana, un suo folklore, un suo linguaggio, usi e costumi rispettabili e validi”. Da Casevecchia a Casamaina si “arrampicano” sulle dorsali dei monti una serie di paesi che danno vita al comune di Lucoli. Succedeva qualche tempo fa, quando il metano e altre fonti di calore erano di là da venire, che i “casamenari” scendevano a valle per rifornire di legname gli abitanti delle località vicine che ne erano scarsamente provviste. D’altronde, il nome stesso di Lucoli, come annotava il Chiappini, noto storico nativo di Peschiolo, lascia intendere a luoghi ricchi di boschi. Nei faggeti, da cui si ricavava il legname, si lasciavano dei varchi aperti per consentire il passaggio dei mulattieri. Non vi era viottolo di montagna che il mulo o l’asino non conoscevano e dove non avessero transitato. Gravati dal peso della legna, procedevano con passo lento ma sicuro. Il carico (circa una soma di legname e/o frasche) veniva posto sul fianco dei basti e ivi assicurato con delle corde. La colonna, che trasportava il legname per la vendita, lasciava Casamaina a notte fonda e s’incamminava per giungere alle prime luci dell’alba Roio. Passato il valico della Crocetta e attraversata valle Majore, il primo paese che incontravano era Roio Piano.
Una volta venduta la merce, legavano gli animali negli speroni di pietra infissi nei muri delle case e, invitati, entravano per consumare una frugale colazione riscaldandosi accanto al focolare. Casamaina è posto quasi a ridosso di Campo Felice, in un punto in cui si respira forte la brezza dei monti d’Abruzzo. Una fotografia di febbraio scorso ci restituisce il borgo con i tetti imbiancati dalla neve, dalle cui trame emerge un campanile tinto di giallo. In uno slargo si erge la statua dell’allora beato Papa Giovanni XXIII, che fa da contraltare all’immagine della Beata Cristina, posta all’ingresso del budello viario che attraversa l’abitato. L’intrigo di vicoli che si dipana nella frazione è lambito da cumuli di neve arroccati sulle scalinate delle case e “murati” su antichi portali che avvolgono usci raramente transitati. Alcuni di questi portali ancora misurano una pregiata fattura che in qualche modo stride con i muri delle case similmente intonacati. Gli abitati, posti in una parte del paese chiamata Colle, sono sostenuti da travi che puntellano le pareti delle case rese inagibili dal terremoto. Sempre nel medesimo isolato insiste una vecchia scuola abbandonata, poi adibita a “casa popolare” fino al 2009. Sotto questa sorta di balconata si può contemplare un paesaggio mozzafiato, con montagne che, accarezzate da nubi, si distendono a valle: la zona sottostante è chiamata le “Piaie”. Nel paese non risiedono più di cento abitanti, molti altri si sono trasferiti a L’Aquila. Da due anni non c’è più nemmeno un ufficio postale. In compenso, il fine settimana, la frazione è animata da turisti che risiedono negli alberghi e nelle case di proprietà, stimolati dalla bellezza del paesaggio e attratti dalla vicina stazione sciistica di Campo Felice. Scendendo lungo la strada che fende la dorsale montana, un po’ arroccato e nascosto, c’è Vado Lucoli. All’ingresso incontro due cani da pastore che sembrano fare la guardia alla piccola contrada. Una signora, il cui accento tradisce origini straniere, dice che nel paese abitano quattro famiglie, mentre altre dodici sono sistemate nei MAP. Attraversato arco Palumbo, si apre una piazza circondata da queste casette provvisorie: una sorta di corte protetta dall’antico abitato e dai monti circostanti. Calando, ci si imbatte in un altro arco in cui è parcheggiato un vecchio calesse maggiormente abbellito dai raggi del sole che s’insinuano all’interno dell’antro. Lasciando il paese mi rivengono in mente le parole pronunciate dalla signora che avevo poco prima incontrato: “Questo posto è un paradiso”. Come dargli torto. Ma non dimentichiamo che anche qui c’è da ricostruire!