testo di Ivan Masciovecchio.
Presentato all’interno del programma della terza edizione dell’evento culturale Abruzzo Contemporaneo luoghi d’arte, in corso di svolgimento a Lanciano (CH) negli spazi del Museo Diocesano fino al prossimo 29 settembre (leggi qui per saperne di più), per una sola notte è tornato a pulsare di nuova luce e colore Un cuore rosso sul Gran Sasso, il film d’arte realizzato dall’artista Sandro Visca nel lontano 1975 e che, a causa di una serie di inenarrabili accadimenti, è rimasto sostanzialmente incompiuto fino al 2011, quando fu presentato in anteprima assoluta come evento speciale promosso dal Padiglione Italia alla 54esima esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia.
Affiancato per l’occasione dalla giornalista Licia Caprara e da Domenico Maria Del Bello, ispettore archivistico onorario per l’Abruzzo del Ministero per i Beni Culturali, Sandro Visca – autore di caratura internazionale con oltre cinquant’anni di attività, una delle menti più fervide e curiose che l’Abruzzo culturale possa vantare – ha ripercorso la genesi dell’operazione e le peripezie produttive fino all’anteprima veneziana ed alla successiva proiezione tra i vicoli e le pietre dello splendido borgo mediceo di Santo Stefano di Sessanio (AQ) proprio dove, oltre quarant’anni prima, sotto lo sguardo incuriosito e perplesso degli anziani abitanti del luogo, tutto ebbe inizio.
Girato in bianco e nero con cinepresa da 16 millimetri, in altrettanti minuti il film documenta, senza alcuna velleità antropologica ma sprigionando cinema e suggestioni poetiche ad ogni singola inquadratura, la performance che l’artista aquilano ideò negli anni ’70 a difesa dei monti del Gran Sasso dopo l’apertura della strada che tagliava in due la piana di Campo Imperatore, percepita come una minaccia che avrebbe alterato per sempre l’armonia e la bellezza di quei millenari sentieri culturali, espressione dell’identità, dell’anima e della storia di quelle montagne. «Una strada completamente inutile ancora oggi – ha dichiarato Visca durante la presentazione – chiusa per buona parte dell’anno, che non produce né economia, né tantomeno sviluppo, ma solo sporcizia che il turismo della domenica porta con sé».
Un segno forte sul territorio, lungimirante ed anticipatore di certe problematiche ambientali drammaticamente attuali in una regione come l’Abruzzo che negli ultimi anni ha visto il suo fragile territorio spesso violato in modo scriteriato per mano dell’uomo. «È insopportabile la volgarità dei comportamenti attuali – ha continuato Visca – ed il problema non è politico, ma esclusivamente culturale. Non c’è capacità di gestione del territorio, siamo completamente privi sia di una cultura del mare, sia della montagna. Siamo rimasti troppo al palo in questa regione ed è ora che qualcosa cominci a muoversi».
Tornando al film, Un cuore rosso sul Gran Sasso rappresenta un’opera di chiara matrice provocatoria, magicamente esplicitata dalla formula simbolica inventata per l’occasione: «Portarsi all’alba di un dì di festa ad una altezza di almeno mille metri dal livello del mare. Al canto del gallo cucire un cuore di pezza rossa della lunghezza di circa due canne trapuntandolo con vero spago d’ortica. Ligare intorno alla fronte dei portatori una fascetta di seta rossa. A notte adagiarlo con cura su di una lettiga di presso costruita con verghe di legno di ornello e spaghi di raffia. Portare il cuore fino ad una altezza di circa tremila metri dal livello del mare e lasciarlo per tre giorni e tre notti alle intemperie. Al terzo dì discenderlo lentamente a valle e abbandonarlo senza mai voltarsi indietro».
Le immagini, sapientemente restaurate grazie anche all’iniziativa dell’associazione culturale Altair dell’Aquila, raccontano il gesto artistico in modo essenziale e rigoroso. Prive di dialoghi e sorrette dalla splendida musica composta e registrata per l’occasione dal pianista abruzzese Michele Di Toro, tratteggiano questa sorta di processione laica con uno sguardo (in)consapevolmente pasoliniano. Dopo essersi radunati in piazza, con gli auspici dei fuochi nella notte, il viaggio ascensionale all’interno di sé può avere inizio. Aspro, impervio, irto; il passo incede gravoso come la montagna impone.
Il cuore – abilmente colorato di rosso fotogramma per fotogramma grazie ad una complicata tecnologia digitale – traballa sulla lettiga mentre la musica incalza. Issato sulla roccia quel gigantesco e benaugurante breve, anche la tensione sale sul volto segnato dalla fatica. In attesa che il rito si compia, è il paesaggio ad essere protagonista. Prati e crinali, salite e sentieri, nubi in dissolvenza e tramonti esplosivi, la maestosità del Corno Grande e il polveroso brecciaio tra le cime del Prena e del Camicia, dove il cuore verrà abbandonato in una nuvola di fumo. Al momento del commiato saranno in tredici al suo capezzale; anzi, in dodici più uno il quale, prima di discendere a valle, abbraccerà tutti i suoi compagni di cammino in una scena finale di straordinaria intensità. «Se lo scopo dell’arte è quello di suscitare emozioni, allora siamo davanti ad un autentico capolavoro» ha chiosato Domenica Maria Del Bello congedando la folta platea presente in sala.
Nel 2011 l’uscita di Un cuore rosso sul Gran Sasso fu accompagnata anche da un pregevole catalogo (ed. Textus) in cui, tra i vari contributi, è possibile trovare un disegno inedito di Andrea Pazienza realizzato nel periodo delle riprese, nonché i provini e le foto di scena eseguite da Giuseppe Jammarrone durante la lavorazione del film. Nell’introduzione lo stesso Sandro Visca, a proposito del suo gesto, scrive: «E’ solo il tentativo di indicare un luogo da vivere fuori dalle mode, da amare e non da conquistare, da proteggere e non da possedere. Comunque un luogo da salvare dalla superficialità, dall’indifferenza e dalla distruzione della nostra contemporaneità». Parole da scolpire dritte sul cuore, appunto.