testo di Ivan Masciovecchio.
I Pink Floyd lo hanno immortalato sulla copertina di Animals, svolazzante tra le ciminiere di una centrale elettrica londinese; nella Fattoria degli animali George Orwell identifica nella sua razza il fallimento dell’utopica esperienza rivoluzionaria; al cinema, invece, ha conquistato la fiducia di uomini e bestie ottenendo anche una candidatura all’Oscar; il compianto e mai dimenticato giornalista Gianni Mura gli ha dedicato uno dei più straordinari e romantici inni d’amore. È sua maestà il maiale, il divin porcello simbolo di opulenza ed alfiere della tradizione e dell’economia contadina, insostituibile fonte primaria di sostentamento alimentare nell’Italia rurale di diversi decenni fa.
Benché oggigiorno praticamente soppiantato da un sistema di natura industriale, anche in Abruzzo l’allevamento del maiale ha avuto da sempre una dimensione a carattere familiare e casalingo. Figura centrale della società agricola del secolo scorso, gastronomicamente parlando il maiale contende alla pecora il ruolo di animale più generoso. La festa per la sua uccisione, la cosiddetta maialata, prevista nel periodo più freddo della stagione invernale in coincidenza con la festività del S. Antonio Abate, rappresentava un vero e proprio evento popolare. Un rito sacrificale ricco di gesti e significati in cui erano coinvolti parenti, amici e vicini di casa e durante il quale canti, balli e bicchieri di vino provvedevano ad esorcizzare i mali di stagione. Un momento di socializzazione unico e particolare, dove ognuno aveva il suo ruolo ben definito e dove tutti concorrevano alla riuscita della delicata operazione.
Fedeli al detto che del maiale non si butta via niente, durante la lavorazione condotta da mani sapienti, davvero nulla andava perduto, neanche le orecchie o i piedini, per non parlare delle interiora (fegato, polmoni, rognone, milza, cuore), del cervello, del grasso, della cotica; oppure del sangue fresco, raccolto in un contenitore apposito ed utilizzato per dolci e sanguinacci. Oggi, purtroppo, l’industrializzazione forzata degli allevamenti ha ribaltato completamente l’assunto, tanto che Carlo Petrini, presidente onorario, ideatore e fondatore del movimento internazionale Slow Food, in un articolo di qualche anno fa dichiarava che «del maiale si butta via fin troppo. […] Allevamenti e macelli come catene di montaggio si sono concentrati principalmente su alcuni tagli e anche i gusti della gente li hanno seguiti: oggi il porco industriale è due prosciutti, qualche salame e salsiccia, qualche bistecca, del grasso per ricette da fabbrica».
Oltre alle preparazioni culinarie ricavate dal sangue del maiale, la cottura in padella del succulento cif e ciaf rappresentava una delle principali pause golose che i lavoranti si concedevano prima di avviare la macellazione vera e propria: una sorta di spezzatino di diverse parti del maiale fritte in olio abbondante con cipolla, aglio e peperoncino piccante. Un rito nel rito al quale era davvero impossibile sottrarsi. Suddivise idealmente in due fasi, dopo una prima azione di spaccatura dell’animale, le operazioni si concludevano con lo spezzettamento dei tagli per la preparazione e l’insaccamento dei salumi i quali a seconda delle proprie caratteristiche, dopo essere stati salati e pepati, venivano disposti in cantina o in altri ambienti idonei per la stagionatura o l’affumicamento (se necessario).
Tra le tipiche bontà della nobile arte norcina abruzzese è doveroso ricordare la ventricina del Vastese – da non confondere con quella teramana, cremosa e spalmabile, contraddistinta da un’alta percentuale di grasso suino (fino al 60% dell’impasto) e da un sapore decisamente più piccante –, chiamata così per la consuetudine di utilizzare, soprattutto in epoche passate, lo stomaco del maiale, il ventre appunto, per insaccare l’impasto composto dalle parti più nobili del suino (coscia o prosciutto, spalla, lombo e pancetta), tagliate rigorosamente a mano, con un misto di sale e spezie varie.
Salume tra i più esclusivi del panorama gastronomico italiano, è inserito tra i Presìdi Slow Food regionali al pari della salsiccia di fegato aquilana – chiamata localmente cicolana, contiene anche cuore, lingua, un po’ di carne magra e grasso –, riconoscibile dalla singolare forma a ferro di cavallo (straordinaria la versione dolce, con l’aggiunta di miele in misura non superiore al 10-15% dell’impasto totale); della famosa mortadella di Campotosto, conosciuta soprattutto con l’appellativo di coglioni di mulo per via della forma e per essere venduta spesso in coppia, caratterizzata da una barretta di lardo apposta al centro dell’impasto decisamente magro la quale, oltre a donare ulteriore gusto, evita che le carni si asciughino troppo durante i circa tre mesi di stagionatura; del salsicciotto frentano il quale, prima di essere stagionato e conservato sotto strutto o sott’olio per circa due mesi, viene pressato sotto tavole di legno assumendo così la caratteristica forma di parallelepipedo irregolare.
Al di là della già citata deriva industriale che ha investito il comparto agricolo, oggi in Abruzzo la lavorazione del maiale sopravvive in forma privata in alcune zone dell’entroterra grazie alla passione ed alla tenacia di qualche allevatore. Tra esami, autorizzazioni, controlli, idoneità dei luoghi e pratiche di macellazione, inevitabilmente le storiche maialate familiari hanno perso nel tempo quell’originalità contadina che le contraddistingueva, sostituite da incontri e ritrovi conviviali organizzati all’interno di ristoranti ed agriturismi dove è comunque possibile riscoprire piatti e sapori della tradizione.
Tra gli appuntamenti in programma da segnare in agenda venerdì 19 gennaio, dalle ore 20.30, negli accoglienti e suggestivi spazi dell’osteria La Corte di Villa Raspa di Spoltore (PE) – dal 2017 premiata con il massimo riconoscimento della Chiocciola dalla guida Osterie d’Italia di Slow Food – lo chef Maurizio Della Valle delizierà i partecipanti con un menù degustazione a tutto maiale composto da cinque antipasti (selezione di salumi, focaccia e spuma di mortadella, crostone con coppa di testa e senape, polentina rape e salsicce, cotiche e fagioli Tondino del Tavo), un primo piatto di tagliolini con ragù bianco di maiale nero, un secondo a base di cif e ciaf di spuntature di maiale e cicoriette, per chiudere con una bomba ripiena di crema al limone. In abbinamento saranno serviti il Lambrusco di Sorbara Cantina della Volta di Bomporto (MO), il Cerasuolo d’Abruzzo Spelt e il Montepulciano d’Abruzzo della fattoria La Valentina di Spoltore. Costo della serata € 60 comprensivi di vini, acqua e caffè. Info e prenotazioni al numero 085 4159787.