Testo di Fulgenzio Ciccozzi
Le odierne “serate estive” (se di serate si può parlare), nel centro storico della frazione di Roio Piano, sono avvolte dal silenzio assoluto. D’altronde, non c’è motivo di camminare in quei vicoli bui e inanimati, a tratto illuminati, che si snodano in mezzo a un formicaio di case rovinate, alcune delle quali si riconoscono, a malapena, dal perimetro segnato da ciò che resta dei muri avvolti dai rovi. Solo l’estate di sette anni fa quelle stradine brulicavano di gente del luogo e di coloro che tornavano in paese, dal quale si erano dovuti allontanare per motivi di lavoro. Era impensabile, per gli emigranti di antica e più recente generazione non fare, almeno una volta l’anno, una capatina in quel piccolo borgo. Molto più di un pugno di case che i ragazzi, sino a età adolescenziale, consideravano il “paese dei balocchi”. Giovani che, anche a sera inoltrata, in sella alle bici, sbucavano come frecce dagli angoli delle strade e s’immettevano negli altri vicoli sfiorando le piccole comitive di amici che si accalcavano sotto gli archi o che si disponevano, seduti a semicerchio, accanto agli usci delle case. L’aia grande era la tappa finale di queste scorribande.
I ragazzi la raggiungevano imboccando via Lucoli, una delle strade di transito più abitate: oggi gli aggregati che la lambiscono sono in attesa di un recupero che sembra non arrivare mai. Sono passati sette anni da allora, e anche le case piangono. Si stanno stancando. E si lasciano andare. Così come si è lasciato andare un fabbricato posto accanto al civico cinque di via dei Calzolai: il tetto ha ceduto e i muri esterni tendono a sbracarsi per via della rottura dei puntelli di sostegno. Venerdì sera, alle ore 21,00 circa, sono dovuti intervenire i vigili del fuoco per mettere in sicurezza la struttura e inibire il transito sulla strada adiacente. Il paese non può più attendere e lo fa capire come può: in questo caso attraverso il suo fragile corpo. Un corpo che si esprime e unisce la sua voce a quella degli ex residenti che oggi vivono nei MAP e nei Progetti Case. Tocca a loro tornare per rianimare quelle notti d’estate che la natura gli ha tolto e che una malaccorta ricostruzione gli sta togliendo. E un programma di recupero edilizio e sociale che non tiene sufficientemente conto delle volontà di queste persone, sulle quali va riposta la massima attenzione, non fa un buon lavoro. Ora che il vociare di quelle serate di estate si è spento, a esso sono subentrati l’attesa e il silenzio. Un silenzio duro da digerire. E il silenzio, si sa, non ha voce.