Testo di Fulgenzio Ciccozzi
Dopo sei anni è giusto prestare attenzione verso una realtà che ha avuto una considerazione piuttosto misurata nel calderone della ricostruzione. E’ necessario dare ascolto a coloro che fino a qualche anno fa vivevano serenamente in un piccolo centro storico oggi devastato e ultimamente vilipeso da sconsiderati predatori notturni. Ed è anche opportuno dare voce a chi voce non ne ha: case, cose, vicoli e aie di quel lembo martoriato di Abruzzo. Luoghi dell’anima: vuoti nella vita ed erosi dall’abbandono. Una vita che il destino ha voluto trasferire nelle giallognole case (Map) ubicate a ridosso delle contrade circostanti al fine di mantenere i rapporti sociali tra gli abitanti e per evitare che i borghi perdessero la loro identità, come invece è accaduto per Roio Piano: l’unico abitato a non avere un insediamento di questo tipo.
Abitazioni provvisorie occupate legittimamente, s’intende, per forza degli eventi, da chi ansima nel voler riappropriarsi del proprio destino e chi invece con un medesimo desiderio, ma più contenuto, si è in un certo senso adagiato tra le braccia di morfeo: nella caotica quotidianità di questi insediamenti. Un’impasse che lascia crescere le nuove generazioni estranee al luogo di origine. La “perfida nuvola” che si aggira sul cielo di questo borgo sembra aver impedito ad alcuni progetti per il sociale di non realizzarsi. Progetti che sono sfumati, svaniti nel nulla, in silenzio: un silenzio che uccide e che ingoia le speranze. Un silenzio chiuso da un muro invalicabile di indifferenza e di egoismo. Un silenzio che reclama spiegazioni verso chi in quei progetti ci credeva, verso coloro che hanno investito in denaro e altruismo e soprattutto nei confronti di chi tiene al futuro di questo paese e a uno sviluppo armonico dell’altopiano.
E quanto dovranno attendere gli abitanti di Roio Piano per vedere una gru ergersi nel cielo di ciò che resta delle loro case? Ci si sforza quantomeno di intuire gli “inverni” che dovranno ancora alternarsi! Nebbia assoluta! Ripensandoci bene, però, un po’ di lungimiranza e un adeguato piano di ricostruzione avrebbe quantomeno lenito queste ferite. Intanto, si chiedono chiarimenti, si analizzano le notizie che possono concedere spazio a lumi. Si rincorrono i tecnici, ci si reca nei “front office” della ricostruzione (Comune e USRA) per chiedere delucidazioni. E poi riunioni e ancora riunioni! Per quanti anni sarà necessario seguire questo tortuoso percorso procedurale? E’ chiaro che per evitare malumori e palesi ingiustizie è opportuno restituire nel più breve tempo possibile le case a chi ci abitava e il paese a chi lo ha perduto. Se non altro per rasserenare gli animi e lasciar guardare “gli esuli del sisma” con più fiducia verso un futuro che comincia ad assumere un profilo psicologico molto fastidioso e pesante.