testo di Ivan Masciovecchio.
«L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo serve, per continuare a camminare». Pervase – a parere di chi scrive – dal pensiero del compianto scrittore e giornalista uruguaiano Eduardo Galeano, procedendo per quote altimetriche lungo nuove ed insolite coordinate del gusto in grado di tracciare una narrazione stratificata e moderna delle terre d’Abruzzo, le buone vibrazioni del progetto Quote ideato dal visionario eppure concretissimo chef Franco Franciosi dell’osteria contemporanea Mammaròssa di Avezzano (AQ) hanno raggiunto nei giorni scorsi Sante Marie, piccolo e incantevole borgo marsicano immerso con le sue frazioni tra i verdi boschi dei monti Carseolani, dando vita ad una due giorni di grandissima intensità emotiva, tra rigeneranti escursioni nella natura e gustosi momenti di convivialità.
Merito anche di un’amministrazione comunale altrettanto determinata e pragmatica guidata dal sindaco Lorenzo Berardinetti, politico anomalo e volitivo che con passi lenti e corti, ma costanti, nel corso di diverse legislature è stato capace di dare sostanza ai suoi pensieri lunghi, conseguendo risultati importanti in termini di valorizzazione turistica ed economica grazie all’adesione al circuito dei Borghi Autentici d’Italia, alle associazioni nazionali Città delle Grotte, Città del Castagno e Città del Tartufo, ai Borghi della Lettura, nonché ospitando artisti internazionali per dar vita tra le vie del paese ad un vero e proprio museo a cielo aperto colorandolo di numerosi murales.
Tornando al terzo atto del progetto, l’evento marsicano ha preso forma e consistenza, passo dopo passo, lungo il Sentiero di Corradino ed il Cammino dei Briganti – altre straordinarie intuizioni promozionali che solo l’anno scorso hanno visto la presenza di oltre 3500 camminatori provenienti da tutto il mondo (più di 15000 dal 2016 e già quasi 2500 in questi primi mesi del 2022) – coinvolgendo quella comunità di territorio che Quote si propone di essere e che in parte già è diventata, composta da cittadini consapevoli che un nuovo racconto di queste terre sia possibile oltre che necessario; una narrazione inedita che metta in connessione spiriti liberi desiderosi di (ri)scoprire le proprie origini, le proprie radici, la propria storia personale e di popolo, che in questo caso ha avuto un andamento circolare (ri)percorrendo i passi già battuti a fine Ottocento da uomini e donne d’Abruzzo in lotta contro l’esercito sabaudo, e di un giovane principe svevo che secoli prima qui trovò il suo sventurato destino.
Preso in consegna da Ercole Wild – aspetto da finto duro, ma dal cuore puro e generoso, guida escursionistica e creatore del blog montagneselvagge.com, dove l’aggettivo vuole rimandare al senso di libertà, alla bellezza d’animo, alla felicità, come una sorta di ritorno a se stessi – il piccolo esercito di sognatori tra i quali erano presenti lo stesso chef Franco Franciosi, il regista pescarese Roberto Zazzara e la viticoltrice Valentina Di Camillo della Tenuta i Fauri di Ari (CH), si è messo in marcia raggiungendo prima la frazione di Castelvecchio – il luogo dell’anima dove gli emigranti fanno ritorno in estate per «sentire di nuovo i piedi sulla terra», parafrasando Ignazio Silone – e successivamente quella di Santo Stefano di Sante Marie adagiata alle falde del Monte Faito, attraversando boschi di querce e castagni secolari ed inebriandosi dei profumi sempre diversi delle erbe aromatiche spontanee sparse lungo il tracciato, dalla menta all’origano, dalla santoreggia all’elicriso; straordinarie sensazioni olfattive in grado di accendere nello chef Franciosi il campanello della creatività per qualche piatto futuro.
Seguendo la filosofia erculea del «camminare non per conquistare tempo ma per perderlo con eleganza», ci si è emozionati nel prendere coscienza di stare percorrendo gli stessi passi del lupo, resi evidenti dalla presenza delle sue feci; oppure dell’istrice, segnalata dai suoi appuntiti aculei, così come del picchio verde, spiumato forse da qualche predatore dei cieli come il grifone.
Procedendo con il cuore contento pulsante in sincrono con il respiro di una natura che anche quando muore produce vita nuova, si è dunque giunti alla meta di giornata. Qui è stato l’incontro con l’altro da sé a rinnovare l’incanto, tra saluti, sorrisi, l’offerta spontanea di accoglienza o di un bicchiere di birra ed un caffè, lo scambio di sguardi complici con altri camminatori, il capirsi senza parlare, riconoscersi compagni, cum panis, condividere il pane; un’apertura verso l’umanità che se venisse applicata quotidianamente anche giù a valle, nelle città distratte dove tutto scorre ad una velocità ormai non più sostenibile, il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore nel quale vivere.
Dopo un rinvigorente riposo in una delle diverse strutture ricettive sorte nel tempo a seguito dell’apertura dei cammini – tra gli altri, a Sante Marie si contano 80 posti letto e ben 30 nella sola Valdevarri –, la serata è proseguita nel segno dell’ospitalità e della condivisione di bellezza grazie alla genuina disponibilità di Vincenzo Zangrilli, vicesindaco di Sante Marie, il quale ha messo a disposizione gratuitamente la sua meravigliosa struttura – un casale di metà Seicento che dietro al portone d’ingresso nasconde un autentico e prezioso borgo nel borgo costituito, oltre al corpo centrale, da cantine, stalle, mulino, forno, terreni terrazzati e campi coltivati, destinato nel tempo ad elevare la qualità dell’offerta ricettiva di Santo Stefano – per la cena allestita dall’infaticabile staff di Mammaròssa capitanato dal sous chef e futuro sposo Francesco D’Alessandro, interamente realizzata sul fuoco, con cotture sulla brace o all’interno di forno a legna.
Archiviato l’aperitivo in cantina ci si è spostati sulla terrazza con vista mozzafiato su Sante Marie dove anche il corpo, dopo l’anima, ha trovato nutrimento grazie ad una serie di piatti dai sapori ancestrali recuperati dalla memoria personale dello chef ma in grado di evocare in tutti i presenti ricordi profondi, dalla zuppa di castagne, ceci, fichi secchi e maggiorana selvatica – pietanza della vigilia di Natale a casa Franciosi preparata dalla nonna – agli gnocchi con stracotto di pecora realizzato al forno con estratto di sedano, carota e cipolla ed un fondo di ossi di pecora, una sorta di genovese senza l’utilizzo di pomodoro, serviti con una spolverata di pecorino dell’allevatore Nunzio Marcelli di Anversa degli Abruzzi (AQ), per un tributo goloso alla civiltà agropastorale abruzzese che ha trovato il suo compimento con la doppietta agnello-arrosticini, quest’ultimi tra i più buoni mai mangiati.
A conclusione del pasto un sofficissimo Buchteln, una brioche cotta sempre nel forno a legna e spennellata con sciroppo al sambuco made in Mammaròssa, completata con del gelato alla vaniglia. Ad accompagnare le pietanze il gradevole e beverino Il Piano del Cavaliere, nuovo vino rosato frizzante della Tenuta i Fauri rifermentato in bottiglia, «nato da un intuito di Luigi Di Camillo come lato B di un vino destinato inizialmente a navigare per mare e sbarcare altrove», vestito con l’elegante etichetta disegnata dall’artista pescarese Matteo Fato.
Dopo un incontro fugace con Giulio, cavatore di tartufi seguito dalle inseparabili cagnette Maja e Margot nella ricerca dei preziosi funghi ipogei bianchi e neri di cui la zona è ricca, il secondo giorno di cammino ha subito regalato ai partecipanti la meraviglia della scoperta della vasta e ricca area archeologica di Colle Nerino, tra fornaci di laterizi, antiche strade, muri di terrazzamento e muri di recinzione di oltre 2500 anni fa. A raccontarla nel dettaglio la memoria storica di Mario Dolce, abile cicerone del gruppo fin dentro l’abitato di Scanzano, frazione di sorprendente bellezza, ancora intrisa di quella fierezza derivatale da una plurisecolare autonomia comunale, mai abbandonata, ma formalmente persa nel 1806.
Prima di completare l’anello disegnato in questo angolo d’Abruzzo incastrato nel Lazio, il sentiero ha toccato Tubione – una frazione-fantasma tra le meno popolose d’Italia, composta da una manciata di case, una chiesetta ed una strada che l’attraversa – e San Giovanni, citata da Febonio nel 1678 nel trattato sulla Storia dei Marsi, placidamente adagiata sul versante nord-est del Monte Bove. La vista di Sante Marie ha chiuso il colpo d’occhio rotondo aprendo definitivamente il rubinetto delle emozioni accumulate durante questo viaggio fisico ed introspettivo all’interno di sé e della storia d’Abruzzo, amplificate dall’ultima visita al Museo del Brigantaggio e dell’Unità d’Italia dove i luoghi appena camminati ed i corpi dei cosiddetti briganti che hanno aleggiato sui partecipanti per tutto il tragitto si ritrovano materializzati su pannelli illustrativi e bacheche informative, rendendo all’impresa appena compiuta un sapore ancora più intenso.
La sera, nel cortile accanto al forno comunale di nuovo in funzione, ci si ritroverà tra pari, spalla a spalla, cuore a cuore, per il pasto ed i brindisi conclusivi di questa esaltante tappa di Quote, tra pizze con gli sfrizzoli di maiale, ciambelle al vino, fiadoni a forma di canestrelli e pizze di San Biagio raccontate dalla viva voce delle donne del paese che ne hanno recuperato storie e preparazioni, mantenendo saldo il filo con le proprie radici. «Che è fondamentale per trovare un senso alla vita che stiamo vivendo», ha ricordato lo chef Franciosi nel salutare e ringraziare tutti coloro che hanno contribuito con il proprio agire quotidiano al successo dell’evento. Perché i luoghi vanno conosciuti anche e soprattutto attraverso il racconto di chi li vive e di chi li ha vissuti prima di noi. Senza passato non può esserci equilibrio. «Oggi chiudiamo un cerchio per aprirne un altro subito dopo, che insieme agli altri contribuirà a creare cellule di vita nuova». Il cammino è appena cominciato, la Mamma è sempre più (g)ròssa, l’utopia è a portata di mano.