Un’escursione alla scoperta della Marsica medievale non può non comprendere una tappa a Rosciolo, piccola frazione del paese di Magliano de’ Marsi. Qui, alle pendici del Monte Velino, spunta all’improvviso la chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta
di Luana Cicchella, foto Luciano D’Angelo
Una delle caratteristiche che colpiscono di questo, come di molti altri tesori dell’arte medievale abruzzese, è la localizzazione: ovvero i luoghi in cui sono dislocati. Nella maggior parte dei casi si tratta di ambienti selvaggi ed arcani nelle zone più remote della regione. Sarebbe interessante poter conoscere e capire i motivi che portarono alla scelta di certi siti. Spesso piccole chiese rurali dalle forme architettoniche e decorative di grande valore, relegate nelle più sperdute località del territorio. Edifici di culto dalle forme austere e solenni, apparentemente nascosti, quasi “negati” al pubblico godimento.
Nella gran parte dei casi la penuria di documenti rende difficile l’indagine sulle ragioni di certe scelte, lasciandole avvolte in un alone di mistero. La storia rivela in parte che le motivazioni hanno origini varie, per lo più connesse alla volontà delle committenze. I motivi per cui uno o più committenti decidevano di finanziare e promuovere un’opera d’arte potevano ricondursi infatti ad una moltitudine di occasioni. Nella maggior parte dei casi si trattava di atti di fede, gesti di carità religiosa, pegni per assicurarsi il perdono e la salvezza nell’Aldilà, oppure forme di riconoscenza e debito nei confronti di una comunità religiosa. L’Abruzzo è sempre stato un fondamentale punto di raccordo e passaggio tra i territori dell’Occidente, dell’Oriente, del Nord e del Sud. Una regione tanto sicura quanto impervia. Un ottimo approdo sulle coste, ma nel contempo un difficile passaggio tra gli impraticabili valichi del Gran Sasso e della Maiella. Condizioni naturali di un ambiente che da una parte rendeva complicate le traversate e dall’altra garantiva ottime possibilità di rifugio. Santa Maria in Valle Porclaneta, come altre chiese simili, potrebbe essere quindi il frutto di generose donazioni ad opera di passanti, pellegrini o facoltosi personaggi che qui, tra i silenziosi spazi monastici, confinati in un luogo sperduto ed arcano, sostarono o trovarono rifugio. Queste eccezionali creazioni artistiche ed architettoniche extra moenia, con le loro forme e la loro posizione svelano e nascondono insieme, in un artificio senza pause, tante storie di vite lontane, che da secoli catturano la curiosità dei visitatori.
Scenografia liturgica dell’arredo sacro: pietre, stucchi, legno e pittura
Sulla facciata un grosso spazio scuro si apre dietro l’arco d’ingresso. Avvicinandosi si scopre che quel grande arco è chiuso da una grata di metallo oltre la quale è un piccolo disimpegno che anticipa l’ingresso alla chiesa. Questo spazio, detto nartece, invita il visitatore ad una pausa prima di entrare nell’ambiente sacro. Dalla vetusta levigatezza dei massi lapidei che incorniciano l’arcata del vestibolo, emergono all’altezza dello sguardo due iscrizioni latine. In una è menzionato il “capo mastro” del cantiere Niccolò, e nell’altra il committente dell’opera, l’illustre conte Berardo de’ Marsi. Secondo quanto riferito nella Cronaca Cassinese il conte Berardo, verso la fine dell’XI secolo donò il monastero ed il castello di Rosciolo all’abbazia di Montecassino.
Nelle prime testimonianze scritte il complesso architettonico di Santa Maria in Valle Porclaneta è quindi indicato come monastero. Oggi non ci restano tracce della parte abbaziale. Solo le possenti mura in pietra calcarea della chiesa hanno resistito all’impietosa azione di tempo, natura e uomo. Nonostante i suoi novecento anni storia, i duri colpi inferti dalle calamità naturali, prima fra tutte il terremoto (1915), e gli interventi di ripristino e restauro, questo splendido edificio custodisce da centinaia di anni preziosi indizi di un ricco passato. Piccolo nelle dimensioni ma gigantesco nella sua qualità di documento storico-culturale.
L’architettura presenta una serie di caratteristiche riconducibili allo stile benedettino diffusosi in Abruzzo tra l’XI ed il XII secolo. Gli elementi ricorrenti in questo caso sono il corpo basilicale diviso in tre navate e l’abside trilobato sporgente all’esterno. Gli spazi interni sono scanditi da massicci pilastroni quadrangolari, coronati da stretti capitelli scolpiti in basso rilievo. Le immagini ed i segni utilizzati per adornarli sono quelli tipici del repertorio medievale. Si tratta per lo più di motivi nastriformi, elementi floreali ed immagini zoomorfe fortemente stilizzate.
Oltre all’incanto dell’arte e al fascino misterico del monumento, questa piccola chiesa di montagna rappresenta un unicum soprattutto perché al suo interno è possibile ammirare, a distanza di secoli, il metodo di organizzazione medievale degli spazi sacri. L’allestimento dell’aula aveva all’epoca un enorme valore propagandistico e funzionale. Si trattava infatti di uno spazio entro il quale ogni fedele, dal sapiente all’illetterato, doveva poter conoscere, capire ed innamorarsi della religione cristiana. Per comprendere la portata di tali artifici, bisognerebbe paragonare queste strategie di coinvolgimento emotivo, all’effetto che hanno i mass-media sulla società contemporanea. Il popolo del Medioevo era profondamente gestito dalle forme di intimidazione e rassicurazione espresse dalla religione cristiana, da quella Chiesa che per molti secoli influenzò profondamente la vita e la quotidianità della società occidentale.
Gli elementi decorativi, in particolare quelli scolpiti sulla mobilia lapidea, sono opera delle maestranze locali legate alla famigerata “scuola rogeriana”. L’arredo si compone di un ciborio, dell’ambone e dell’iconostasi. Il ciborio richiama nella struttura, con doppia copertura poligonale sfalsata e forme ornamentali di gusto orientaleggiante, lo splendido esemplare custodito nella chiesa di San Clemente al Vomano (se ne parla nel n. 5 di Tesori d’Abruzzo, aprile-giugno 2010). Entrambi realizzati tra la prima e la seconda metà del XII secolo nella bottega degli scultori Ruggero, Nicodemo e Roberto.
Insieme a questo bel ciborio venne realizzato anche l’ambone, interamente rivestito di immagini in rilievo a stucco. Il gusto calligrafico delle raffigurazioni e degli ornamenti, nastriformi ed annodati, sono una specificità di questa bottega di artisti. Infine vi è l’iconostasi, composta da elementi in pietra e legno, riconducibile forse ad epoca diversa. All’interno di Santa Maria in Valle Porclaneta è decisamente questa la vera rarità! L’iconostasi è un tipo d’arredo caratteristico delle basiliche e chiese paleocristiane, che a partire dall’XI secolo iniziò a sparire dagli edifici ecclesiastici dell’Occidente, ed è oggi in uso solo nelle chiese di culto ortodosso (“Dall’Epiro all’Abruzzo”, nel n. 20 di Tesori d’Abruzzo, aprile-giugno 2011). Oltre alla straordinarietà del pezzo, è importante anche il suo elevato valore simbolico. L’iconostasi consiste in una vera e propria barriera, che aveva il compito di separare lo spazio dei fedeli da quello più sacro dell’altare. Non si tratta di una separazione di ordine gerarchico ma piuttosto spirituale.
L’iconostasi è di fatto il punto in cui va a focalizzarsi lo sguardo, l’attenzione e la preghiera dei fedeli nel corso del rito religioso. Questa sorta di pergolato, in origine era completamente rivestito d’icone. Le immagini dei Santi e le figure simboliche s’imponevano allo sguardo attonito del fedele, rapito da un tripudio di cromie. I ritratti ieratici e solenni, dagli sguardi profondi e fissi, incorniciati da fondi aurei in cui rifrangevano le tremolanti luci delle candele, avevano una straordinaria forza attrattiva sull’astante in preghiera. Qua e là sulle pareti della chiesa sono ancora presenti resti dell’originaria decorazione pittorica. Sui pilastri si trovano figure intere di Santi, essi stessi considerati pilastri sui quali poggiano le fondamenta della Chiesa cristiana.
In questi suggestivi luoghi la comunità di fedeli si lasciava incantare e rapire l’anima da quelle forme dell’arte che, combinate con i suoni, i profumi e le atmosfera della liturgia, creavano una perfetta scenografia sacra. Mentre il suono delle preghiere e dei canti risuonava dalle piccole finestrelle e si diffondeva negli spazi dell’isolata e silenziosa Valle Porclaneta.