testo di Ivan Masciovecchio.
Guardiagrele, la città di pietra, risplendeva al sereno di maggio. Così Gabriele d’Annunzio ne Il trionfo della morte introduce allo splendido borgo della provincia di Chieti posto ai piedi della Majella madre, lungo il versante orientale; e così è scolpito sulla targa – ovviamente in pietra – affissa proprio accanto alla monumentale Porta San Giovanni, uno degli ingressi ricavati lungo ciò che resta dell’antica cinta muraria e che consentono l’accesso al suo incantevole centro storico.
Città dotata di un notevole patrimonio artistico, ricca di testimonianze storiche, nonché di una millenaria tradizione artigiana (apprezzata in tutto il mondo, la lavorazione di ferro battuto e rame fino a pochi anni fa rappresentava un elemento fondamentale dell’economia locale), la Guardia – così come viene chiamata dai suoi abitanti – conquista il cuore del visitatore esigente grazie soprattutto al suo dedalo di viuzze e vicoletti acciottolati, all’eleganza dei suoi palazzi nobiliari, alla memorabile possanza delle sue torri difensive, all’ecletticità delle sue architetture sacre. A cominciare dalla solenne cattedrale di Santa Maria Maggiore la cui unicità è rappresentata senza dubbio dalla facciata realizzata interamente in pietra della Majella, di originale bellezza grazie anche alla presenza di una torre centrale con funzione di campanile. Notevole inoltre si presenta il portale trecentesco con arco in stile gotico e sotto il porticato, sul lato destro della chiesa, da ammirare risulta un grande dipinto del San Cristoforo, opera di quell’Adrea Delitio già autore del monumentale ciclo di affreschi all’interno della cattedrale di Atri.
L’antico borgo di Guardiagrele merita il viaggio anche solo per poter assaporare un capolavoro dell’arte dolciaria locale, le gustosissime sise delle monache. Prodotta esclusivamente nella città guardiese, questa soffice bontà di spugnoso pan di spagna si compone di tre cupole puntute affiancate a triangolo, farcite con fresca crema pasticcera e spolverate di abbondante zucchero a velo. Date per scontate la sua assoluta prelibatezza e l’identità del suo creatore – il pasticcere Giuseppe Palmerio nel 1884 –, è sulle origini del curioso nome che invece si addensano misteri e leggende popolari. Una storia racconta che la denominazione originale sia in realtà tre monti, con riferimento alle tre vette della Majella. Questo nome si sarebbe poi trasformato grazie anche all’intervento del poeta dialettale Modesto Della Porta il quale, vedendo un giorno le paste più imbiancate del solito, esclamò: “Madonna come sono bianche e diritte e appuntite, me sembrane proprie sise de mòneche…”. Monache che, riferiscono le dicerie, allo scopo di dissimulare le proprie rotondità, usavano inserire sotto la tonaca stracci arrotolati, dando origine così ad una terza, anomala sporgenza. Altre vicende, infine, narrano che il dolce sia stato effettivamente inventato dalle suore dell’ordine delle Clarisse.
Comunque sia, sise delle monache o tre monti che dir si voglia, l’unica accortezza è mangiarle appena sfornate, magari direttamente all’interno di una delle due storiche pasticcerie cittadine situate a poche centinaia di metri l’una dall’altra lungo il corso principale del paese, meta obbligatoria per i golosi di ogni età.