Testo di Chiara Di Giovannantonio; Foto di Giancarlo Malandra
Ai piedi dei Monti Gemelli adagiata su di un colle tra le valli dei torrenti Siccagno e Fiumicino, si trova Campli, un’accogliente cittadina di origine medievale dove il tempo sembra essersi fermato. Questo vecchio borgo di 7500 anime, che si raggiunge percorrendo la SS81 in direzione nord da Teramo verso Ascoli Piceno, conserva ancora le tracce dei privilegi e dello splendore di cui godeva quando era il cuore pulsante dei territori al confine tra lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico posti sotto il potere temporale del Papa. Il paese, menzionato per la prima volta nell’894, fu possedimento di diversi signori feudali e di questo illustre passato ad oggi, ha mantenuto gelosamente l’aspetto dell’antico borgo mercantile medievale, con il suo centro storico ricco di botteghe artigiane e commercianti.
Il grazioso Palazzo del Comune, chiamato anche Palazzo Farnese, testimonia sia la conquista delle libertàcomunali raggiunta da Campli nel 1372 sia il successivo passaggio sotto i Farnese nel 1520, quando la cittadina venne ceduta da Carlo V alla figlia naturale Margherita D’Austria. L’edificio comunale, munito di portici e trifore, fu costruito nel XIV secolo, ma subì pesanti modifiche intorno al 1880. Di fronte e si trova la chiesa di Santa Maria in Platea, costruita nel 1300 su un’altra preesistente. La cattedrale, affiancata da una torre campanaria dello stesso periodo, dietro la facciata neoclassica cela al suo interno un tesoro di pitture e sculture rinascimentali, tra cui due opere di Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice. Dalla piazza Vittorio Emanuele si imbocca Corso Umberto I, la via principale di Campli che è cambiata poco nel corso dei secoli. Lungo la strada, passeggiando sotto i balconcini fioriti, si incontrano numerosi edifici storici, tra cui la bella casa rinascimentale con loggia denominata Casa della Farmacia e la Casa del Medico con un bel cortile. In fondo al corso, invece, si trova la chiesa romanica di San Francesco con un bellissimo ciclo pittorico di scuola giottesca risalente alla metàdel 1300. L’ex convento francescano adiacente oggi ospita il Museo Archeologico Nazionale, che contiene reperti dal VI al III sec. a.C. provenienti dalla necropoli italica di Campovalano, a circa un chilometro di distanza riprendendo la strada statale. Dietro il Museo, in una di queste viuzze ai margini della città, si trova, nascosto dietro una porticina di legno, un tesoro di inusitata suggestione che pochi luoghi possono vantare, la “Scala Santa”. Salendo in ginocchio tra floridi affreschi i suoi 28 gradini di duro legno, in alcuni giorni dell’anno si può ottenere un’indulgenza plenaria dal Purgatorio con lo stesso valore di quella che si ottiene sulla Scala Santa di Roma.
La Scala Santa
Quella camplese fu edificata grazie al lungo e paziente lavoro diplomatico di Giampalma Palma, giàCamerlengo del Comune e priore della Confraternita delle Sacre Stimmate di San Francesco. Era il 1771 quando questo avvocato, giudicato “camplese esimio” e erede di un’importante famiglia locale, si fece promotore di un progetto che doveva servire a rilanciare Campli in un secolo fortemente negativo per la città, che era stata fiaccata da un lungo periodo di crisi. Non si conosce la data effettiva della costruzione del santuario, ma si pensa che sia avvenuta tra il 1772 e il 1776. Il 21 gennaio 1772, infatti, è la data impressa sul breve con cui Papa Clemente XVI diede il proprio assenso all’edificazione e attribuì ufficialmente il privilegio pontificio della Scala Santa a Campli, come ricorda il documento storico: “Custode amorevole dei tesori celesti della Chiesa, per incrementare la religione dei fedeli e la salvezza delle anime, a tutti e singoli i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, veramente pentiti, confessati e comunicati, che saliranno in ginocchio la Scala costruita nella cittàdi Campli […] con questa lettera e con l’autoritàapostolica, concediamo paternamente di poter ottenere tutte e singole le indulgenze, la remissione dei peccati e delle pene, che potrebbero ottenere se personalmente, devotamente ascendessero in ginocchio la Scala Santa della nostra Alma Roma. Quanto stabilito ha da valere in perpetuo, in futuro, nonostante qualsiasi cosa in contrario […] Datato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, XXI Gennaio 1772, anno terzo del Nostro Pontificato. A firma, Clemente Papa XIV.” La Scala Santa, aperta al pubblico nel 1776 subito dopo la benedizione, è attigua alla Chiesa di San Paolo, un tempo conosciuta come chiesa della Madonna dei Sette Dolori. L’edificio di culto anticamente era la sede della Confraternita delle Sante Stimmate di San Francesco, alle cui cure venne affidato il santuario che all’esterno presenta una struttura architettonica sobria e poco appariscente, con un rivestimento in pietra non levigata. Anche l’interno rifugge ornamenti lussuosi e ridondanti, nel pieno rispetto degli ideali religiosi e culturali dell’ordine francescano, con un ambiente raccolto che favorisce la preghiera e la contemplazione dei penitenti. Ci sono due ingressi, con una terza zona d’interesse in cima alle scale, costituita dalla cappella del Sancta Sanctorum che si intravede attraverso una grata di ferro. A sinistra, dietro la porta di legno scuro, si trova la scalinata d’onore di ventotto gradini che deve essere percorsa in ginocchio a capo chino, tra dipinti raffiguranti la Passione di Gesù. A destra si trova la seconda rampa di gradini da cui si scende in piedi, una volta ottenuta la remissione dei peccati, tra le immagini affrescate degli angeli in festa.
Le pitture
Il soffitto della prima scalinata, la più elaborata dal punto di vista artistico, è decorato con riquadri popolati da angeli che reggono i simboli del martirio, come la croce portata in un modo che ricorda la posizione del Cristo che sale al Golgota, le funi e la spugna intrisa d’aceto, il martello e i chiodi. Sulle pareti sono collocati sei grandi dipinti, tre per ogni lato, che riproducono i momenti salienti della Passione di Cristo per aiutare il fedele a ripercorrere le tappe di Gesù verso la croce, rivivendone simbolicamente la terribile sofferenza. Sulla destra è possibile ammirare “Cristo nell’orto degli ulivi”, “La flagellazione” e “Cristo che porta la croce”, mentre sulla sinistra si trovano “La cattura”, “Ecce homo”, e la “Crocifissione”. Le tele sulle pareti, che insieme concorrono a creare una pregnante atmosfera che coinvolge il penitente, hanno tutte una forma insolita, quasi trapezoidale. Nessuna di esse riporta riferimenti temporali espliciti che consentano una datazione sicura, né altri elementi per una precisa attribuzione delle opere in mancanza della firma. Si suppone che le prime quattro, come il soffitto, siano di Vincenzo Baldati (Teramo, 1759 – 1825), un’artista teramano che ha firmato con data 1781 il lavoro svolto nel Sancta Sanctorum, il vero cuore dell’edificio, chiuso da una grata sormontata dalla suggestiva immagine del Compianto con la Madonna Addolorata che abbraccia il Cristo morto. Qui c’è l’altare del Salvatore, con l’immagine del “Cristo Salvator Mundi” sulla parete di fondo realizzata da Baldati ispirandosi a modelli bizantini, assieme a reliquiari del ‘700 – prevalentemente di fattura napoletana – con le ossa di santi, una spina della corona, frammenti della Vera Croce. Nel cuore del santuario è custodito anche uno stendardo con l’immagine di San Francesco che ricorda la Confraternita delle Stimmate. Dopo aver pregato davanti all’immagine del Salvatore, il solo che può liberare da ogni peccato, il credente purificato e rinato a “uomo nuovo”, può scendere in piedi dalla seconda scalinata dopo aver reso omaggio alle figure di Papa Clemente e a Sant’Elena, che paiono quasi reali nei loro ritratti a grandezza naturale. Se è chiaro il tributo al Pontefice, quello alla Santa, madre di Costantino, si lega alla leggenda secondo la quale fu proprio lei a recuperare durante un pellegrinaggio in Terra Santa il marmo consacrato dal sangue di Gesù quando, come narrano i Vangeli, fu costretto più volte a salire e scendere al cospetto di Pilato. La Santa fece trasportare a Roma la pietra calcata dai piedi del Salvatore e la fece collocare assemblata in forma di scala nel palazzo Lateranese vicino alla Basilica di San Giovanni in Laterano, dando così vita a una delle grandi tradizioni della religiositàcattolica. Nella scalinata di discesa della Scala Santa di Campli, l’ambiente è stato affrescato da Baldati con colori più luminosi e brillanti, che animano le immagini, contornate da angeli giubilanti che lottano giocosamente, il cui tema dominante sono la gioia del perdono e della rappacificazione con Dio. In particolare sulle pareti, all’interno di quattro medaglioni in monocromo blu, sono riportate scene come la Resurrezione, il “Noli me tangere” e San Francesco che riceve le stimmate. Sul soffitto ligneo, invece, si affacciano angioletti sorridenti e festanti che recano canestri di fiori su uno sfondo azzurro pervaso di luce, a simboleggiare l’arrivo del giorno e la sconfitta delle tenebre per il penitente finalmente purificato nella sua debole anima. In passato, la lettura delle immagini era l’unico modo per permettere, anche a chi non sapeva né leggere né scrivere, di comprendere e ripercorre metaforicamente il significato della Passione, della Morte e della Resurrezione di Cristo. La Scala Santa di Campli, con le sue pitture e sculture d’arte settecentesca che incantano il credente e il visitatore, merita da sola una visita a questa cittadina medievale sospesa tra cielo e terra.