Testo di Giorgio D’Orazio
Una mostra ed un catalogo riscoprono la produzione artistica di Marino Di Carlo, disegnatore, grafico e decoratore originario di Loreto Aprutino
Bisogna ringraziare due operatori culturali dell’area vestina, Fausto Roncone e Giacomo Vallozza, se con la bella mostra “Disegno per un caffé” e un elegante catalogo, curato graficamente da Andreas Waibl per i tipi della Valentina Editrice, è stata riconsegnata alla memoria collettiva la figura di Marino Di Carlo, artista calligrafo, disegnatore e decoratore grafico, nato a Loreto Aprutino nel 1898, che, tra la cittadina Tipografia del Lauro e la Regia Scuola d’Arte Applicata di Penne, scopre un talento capace di portarlo a pubblicare, a soli 22 anni, i primi disegni sulla seguita rivista torinese “L’Artista moderno”.
Di Carlo si trasferisce dapprima a Milano ma sceglie subito di fermarsi a Firenze, un ambiente culturale vivace dove affermare il proprio “stile floreale” come illustratore, bozzettista pubblicitario e decoratore, in pianta stabile nella Casa editrice ArsNova, specializzata in riviste di arti applicate, ma spaziando anche tra manifesti, libri, calendari, etichette, marchi aziendali, pubblicità ed elementi d’arredo. In breve Marino Di Carlo è diventato un nome, ha stretti rapporti di stima con Paolo Paschetto, Cesare Ratta lo include nel prestigioso elenco de “Gli adornatori del libro in Italia”, il conterraneo Zopito Valentini gli affida la creatività di testata del periodico “L’Idea abruzzese” e, soprattutto, diventa per quasi trent’anni il comunicatore creativo della rinomata casa vinicola Brolio & Castagnoli Chianti del barone Ricasoli, esperienza che gli consente di rimanere davanti agli occhi di tutti, ancora oggi e in tutto il mondo, col famoso logo del gallo nero del Consorzio per la difesa del vino tipico del Chianti, apparso per la prima volta sulla rivista “Le vie d’Italia” del Touring Club Italiano. Eppure, proprio al culmine del successo, qualcosa gira storto nella vita di Marino Di Carlo e, tra racconti, indizi e indiscrezioni sembra si fosse trattato di questioni di cuore. Un cuore talmente sensibile, come sensibile era l’estro dell’artista, che porta Di Carlo, sul finire degli anni ’30, ad abbandonare tutto per tornarsene nel paese natìo, cessando eloquentemente la fondamentale stagione fiorentina con un fregio di chiusa di pagina per una rivista dove inserisce la parola “fine” e il profilo dell’abitato di Loreto. Da allora comincia per lui una vita diversa, di provincia agraria, solitaria, malinconica e stravagante a tratti, Marino si porta dentro un passato difficile da digerire e un presente che, nonostante i contatti con colleghi, clienti e riviste nazionali, e nonostante le commissioni locali, dalla collaborazione con l’importante Casa editrice Carabba alle insegne per gli esercenti fino ai ricami dei corredi nuziali, non rende onore alle sue capacità. Una storia non rara di talento al cui successo nell’opera non è corrisposto il successo nella propria vita, ma fu Marino Di Carlo stesso a voler scritto di sé che «dedicò interamente e umilmente la vita all’arte», epigrafe che lo ricorda così, «valente calligrafo e decoratore», da quel giorno d’inverno nevoso del 1959 quando, con i disegni sotto il braccio, fu trovato morto accanto a una siepe. Mezzo secolo dopo, grazie a questa meritevole operazione culturale, può restarne l’evidenza della memoria.